30 marzo 2011

SE SEI CASALINGO AMI IL FUOCO DEL FORNELLO COME ME

C'è questo canale sul digitale terrestre che si chiama Real Time e propone sempre cose interessanti, del tipo che ci capiti per caso ma poi resti sempre incollato a guardarle, incapace di capire se sia realtà o finzione, se esistano davvero oppure no, se te ne frega veramente oppure semplicemente le guardi per ingannare il tempo ed evitare di fare qualcos'altro di più faticoso e meno rilassante. Le critichi e le deridi però le guardi con soddisfazione, ed è questo ciò che conta.

Tanto per dire, spesso e volentieri io seguo un programma in cui (più o meno) due agenti immobiliari mettono in contatto un potenziale compratore con tre potenziali venditori, viene scelto un'appartamento e poi ristrutturato radicalmente per venire incontro alle esigenze di chi un giorno ci abiterà (che non necessariamente è il potenziale compratore, visto che a volte non si capisce bene se la trattativa vada a buon fine oppure no, ma tant'è). Va sempre a finire che qualunque abitazione viene trasformata in loft o open space, con lavori effettuati a tempo record utilizzando materiali costosissimi, colori assurdi e manodopera sottopagata cinese, filippina, rumena o maghrebina (il razzismo involontario è sempre lì che striscia dietro l'angolo, nelle vesti di conduttori che si rivolgono in maniera scortese alla suddetta manodopera quando non capisce bene l'italiano – ma magari sono solo io che fraintendo).

Roba da milanesi insomma, visto che in nessun'altra parte d'Italia si può vivere con dignità in abitazioni-alveare da 50mq pagate a carissimo prezzo che hanno la pretesa di essere trasformate abitazioni di stampo newyorkese o statunitense in generale ma restano pur sempre abitazioni-alveare, con tutto ciò che ne consegue in termini di “spazi scarsi”, “poca vivibilità”, “prezzi al mq che più che prezzi sono una vera e propria rapina a mano armata”, “assenza di privacy”, “puzze che stagnano in bagno perché non c'è nemmeno una finestra” et similia, bisogna per forza crederci molto.

Non abiterei mai in appartamenti del genere manco se me li regalassero perché io sono un ragazzo di campagna e non riuscirei mai ad adattarmi alla vita negli spazi angusti delle metropoli, troppo stress e poi sinceramente non posso permettermeli (nemmeno se me li regalassero). Ed allora preferisco guardarli in tv e sparare critiche a vanvera, visto che ho imparato a scrivere grazie al primo numero del corso di scrittura del Corriere della Sera, quello a cura di Roberto Saviano. Ho studiato tantissimo ed ora voglio mettere in pratica tutto ciò che ho imparato, sono fiero di me.

26 marzo 2011

NATO PER LE TELEVENDITE



Lo spot per promuovere il turismo in Italia che vede come protagonista il nostro infallibile condottiero Silvio Berlusconi è qualcosa che va oltre il concetto di umana pietà (e non l'ho nemmeno guardato per intero, figuriamoci se ho tempo per farlo): al netto di inevitabili associazioni di idee che possono portare lo spettatore a pensare al turismo sessuale in Thailandia, è uno spot che ti scoraggia del tutto dal passare le tue vacanze in Italia. Ma come, quando si parla di vacanze si pensa automaticamente – chessò, sparo a caso – a culi abbronzati che paiono scolpiti nel marmo, alcool & droga che scorrono a fiumi, sole, mare, Fiorello col codino che canta Spiagge, vu cumprà che provano a venderti cd che tu hai già scaricato due mesi prima che uscissero, Salentu lu mare lu sole lu divertimentu, esplosioni addominali, cibi molto calorici consumati ad orari random, settimane indimenticabili passate in compagnia del tuo/della tua partner, nottate interminabili in discoteca a fare la spola tra il bancone del bar e i bagni, bomboloni divorati ad orari da fornaio, furti di biciclette per spostarsi da un luogo all'altro, vandalismi notturni che finiscono nelle pagine di cronaca sui giornali locali e noi italiani non troviamo niente di meglio che proporre ai potenziali villeggianti un vecchio che vuole disperatamente sembrare giovane ed in sovrappiù si pitta il cuoio capelluto con il lucido da scarpe per simulare una parvenza di capigliatura folta? Non ci siamo proprio.

Probabilmente si tratta solo di scelte di marketing sbagliate e/o troppo affrettate (lo spot dico, non il cuoio capelluto pittato per simulare una parvenza di capigliatura folta – quelli sinceramente son cazzi suoi), ma provo quasi pena per il nostro infallibile condottiero Silvio Berlusconi che si è prestato ad un gioco del genere; poveretto, magari non va in vacanze da decenni perché lavora per noi e cade ingenuamente su una cosa del genere. Vien quasi da pensare che sia il solito tranello teso dalla sinistra italiana apposta per screditarlo, però quando leggo una intervista a Pierluigi Bersani in cui vengono sfoderate buone conoscenze musicali e soprattutto una collezione di dischi veramente ben fornita (ed aneddoti del tipo presenza allo storico concerto di Bob Marley a Milano nel 1980, una roba a cui io non sarei andato mai e poi mai ma che comunque rappresenta un fatto invidiabile) mi rendo conto che probabilmente non è un tranello della sinistra ma la pura e semplice realtà di un vecchio al quale la sua corte fa credere di essere onnipotente sganciandolo totalmente dalla vita reale. Ecco perché Berlusconi crede di richiamare turisti in Italia con la sua immagine.

Ed intanto noi paghiamo per spot del genere, con le trattenute in busta paga (quando le abbiamo e/o abbiamo un lavoro) e con mille altri piccoli e grandi balzelli tipo canone tv, accise sulla benzina, bollo auto indegni di una grande democrazia liberale che vuol riuscire a dire la sua nel Grande Occidente Civilizzato (Oscar Giannino is my co-pilot, soprattutto per il suo look).



24 marzo 2011

AREARE IL LOCALE PRIMA DI SOGGIORNARVI



Un paio di sere fa mi sono sintonizzato su Play.me per gustarmi quel fantastico programma dove ti fanno vedere persone vestite malissimo e palesemente calate che ballano la minimal (no, a chiamarla tecktonik non ce la faccio proprio – non sono così progressista) in discoteca oppure ad aperitivi in spiagge non meglio identificate. Lo guardo spesso e volentieri perché, nonostante proponga musica assolutamente terrificante, aumenta di botto la mia autostima e mi rende una persona effettivamente migliore di quello che sono (ridurmi così? No grazie, e poi farlo per ballare la minimal è ancor più da perdente. Meglio guardare la gente che balla la minimal ed ha gli aloni di sudore chimico sotto le ascelle, fa più ridere). Mi aspettavo di vedere visi deformati dalle pasticche & dalle polveri magiche ed invece stava andando in onda il video di Thriller di Michael Jackson. E non stava andando in onda un momento qualunque del video, stavano proprio scorrendo le immagini di Jacko ormai zombie che balla snodato come non mai. Ho iniziato a ridere tantissimo perché non mi ero già scordato che Michael Jackson è morto sul serio (anche se i tg di regime continuano a dar spazio alle notizie riguardanti l'uscita di suoi nuovi singoli postumi, sciacalli) e vederlo all'improvviso in versione zombie danzante al posto di gente che balla strafatta la minimal fa sempre un certo effetto. Chissà se nei nuovi video postumi si muove ancora così grazie ad un qualche trucco post-produzione o semplicemente vengono usate immagini di repertorio, poveretto.

E poi tutto è finito quando le tv di regime (e dunque non Play.me) hanno iniziato a dare notizie riguardanti i bombardamenti in Libia. Non esistono guerre giuste, la guerra è sempre sbagliata quando non si è fatto nulla (o al limite troppo poco) per evitarla. Esiste il cercare di risolvere le cose prima, esiste il fare in modo che le cose non accadano, esiste l'evitare di fare affari con un dittatore sanguinario che opprime un popolo, esiste l'intervenire quando il dittatore è ormai alle corde e non quando ha ripreso il controllo di quasi tutto il paese, esiste l'evitare di accogliere il dittatore a Roma come un eroe salvo poi bombardarlo un anno dopo. Quando sei in ballo devi ballare ed evitare un genocidio (preferisco far finta che la Francia e di conseguenza anche gli altri non abbiano accelerato i tempi solo per mettere le mani sul petrolio libico, ma tant'è), però non si doveva arrivare fino a questo punto. Qualcuno prima o poi dovrà risponderne, ma come si può sperare di avere una risposta univoca quando il dittatore libico viene chiamato Gheddafi in Italia, Kadafi degli States, Gaddafi nel Regno Unito e Khadafi in Francia? La risposta mi sa che non arriverà mai.

Ovviamente alla grande kermesse partecipa anche l'Italia che, come dicevo, accoglieva come un eroe il colonnello Gheddàun (cit.) appena un anno fa ed ora verosimilmente lo bombarderà, sperando che non si incazzi sul serio e non rimandi suo figlio Saadi a giocare nel campionato italiano. Italo Balbo sta già scaldando i motori, lo hanno caricato a fatica su un caccia e imbottito a dovere di energy drink Azzurri (quello special creato in occasione degli scorsi mondiali di calcio, una roba che dopo il flop della nazionale italiana li trovi a prezzi stracciati nei discount), si è ripreso dopo una lunga sosta forzata e dopo ottanta interminabili anni ha finalmente l'occasione per chiudere alcuni conti in sospeso con la Libia. Non voglio neanche sapere come andrà a finire.

Se penso a Michael Jackson che era buono e giusto ed è morto senza riuscire a fermare le guerre nel mondo mi viene il mal di stomaco. Ci rimane solo sperare in Justin Bieber, prendiamolo di peso e gettiamolo su Tripoli poi stiamo a vedere che succede. Magari tutto si ferma, chissà.

21 marzo 2011

Drugs are neat, and you can buy 'em relatively cheap / And when you do 'em people think that you're cool



Tutte le volte che vedo in tv la campagna pubblicitaria contro la droga promossa dal Dipartimento per le Politiche Antidroga dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri mi viene voglia di drogarmi peso, soprattutto perché la colonna sonora (chiamiamola così) è a cura di Nek.

Davvero: Nek bofonchia e non si capisce nulla del testo (magari canta anche nella parte strumentale e non si sente nulla), ma quando parte l'acuto "la cosa più bella che hoaaaaaa" vorrei avere a disposizione un paio di pasticche di ecstasy, un po' di ero o del crack e farmi il più possibile, arrivando oltre i miei limiti psicofisici solo per fare un dispetto alle menti geniali che hanno concepito una schifezza del genere (e magari per fare un dispetto anche a Nek che è amico di Giovanardi).

Fa troppo ridere, perché rappresenta una situazione assolutamente irreale, non spiega quali sono i reali pericoli legati all'abuso di droga ma pretende di insegnare ai gggiovani cosa fare e cosa non fare. Ci prova, ma proprio non ce la fa perché non ha i mezzi. Sarebbe bastato ingaggiare un esperto come Vasco Rossi facendolo partecipare attivamente al video e le cose sarebbero andate diversamente, ma evidentemente al Governo hanno altro da fare ed hanno preso Nek facendogli comporre brutta musica da associare ad immagini surreali. Peccato.

Copiaincolliamo un commento preso a caso dal video su YouTube, che vale più di mille parole:

"Un ragazzo in ritardo inseguito da un pusher che gli regala una dose di tutto.

Non prende alcuna sostanza e ha un incubo, mentre sembrava sereno prima di addormentarsi.

Scende dall'autobus e trova un bidone incendiato in mezzo alla strada, dove brucia la sua amata dose (merito del sogno chiaramente).

Perchè cazzo tutto questo dovrebbe spingermi a non drogarmi?

L'evidenza che lo stato e il sistema hanno fallito ancora."

Geniale no? Come può non spingerti a drogarti? Chiaramente gli autori sanno come vanno queste cose qua, sanno che chiunque ti regala droghe a cazzo che se non le prendi hai gli incubi e poi ti trombi una che ti caga solo perché non ti fai. Ed il bello è che per pagare queste cose mi trattengono pure un sacco di tasse in busta paga.

Davvero, domani vado da un pusher in strada e gli chiedo se mi regala una dose di tutto. Magari poi capisco che drogarsi è sbagliato e comincio a cantare come Nek.

18 marzo 2011

C'È UN MONDO INTERO OLTRE LE BALLATE STRACCIAMUTANDE ED I CAPELLI COTONATI, MA LUI POVERETTO NE È DEL TUTTO IGNARO.

C'è da ridere tantissimo: quella vecchia scorreggia con il parrucchino biondo che risponde al nome di Jon Bon Jovi (o come cazzo si scrive) ha detto che la colpa del declino della musica è di Steve Jobs e di iTunes, che – a suo dire – promuoverebbero la cultura del singolo usa e getta da ascoltare con l'iPod ed uccidono il piacere di spendere la propria paghetta in dischi nuovi da divorare dalla prima all'ultima traccia.
Jon Bon Jovahahahahhahahhahahahhh hahhahhahahahahhaha ahha ha ahahhahahhahahha ahhaahahahahhahhahhahahahahahahahaha. Johohohoohhoohohohohoahahhahahon Bohohohohohohahhahahaon Jovihihihihhihihihihhhhhihahahahaihaihii. Jon Bon Jovi, dicevo. Quello che sono quasi vent'anni che non scrive un pezzo decente (sempre se vogliamo definire pezzo decente Always) e gli ultimi due singoli di successo hanno musica e video identici, ma risalgono tipo a dieci anni fa ed è tutto un raschiare il fondo del barile. Quello che nella band ha un chitarrista che di nome fa Richie Sambora (Richie Samborahahahahhahah hahahhahah hahahahha hahahahah) ed un bassista che son trent'anni che suona nella band ma non è ancora membro ufficiale e nei video non lo inquadrano mai, poveraccio. Quello che ha un gruppo che si chiama come lui ed ha tentato una carriera solista ovviamente mantenendo lo stesso nome (perché lui è uno che ama rischiare) ma non se lo è filato nessuno. Quello che tutti sanno che porta il parrucchino ma nessuno lo vuol dire (e diciamolo: quella vecchia scorreggia di Bon Jovi porta il parrucchino e suona musica assolutamente terrificante. Anzi, oserei dire che Bon Jovi in testa ha un cane morto – ma non lo dico perché altrimenti il WWF mi fa chiudere il blog). Quello che crede di essere ancora nei gloriosi anni ottanta (gloriosi per lui, che probabilmente all'epoca pippava alla grande e quando gli andava male cambiava una ragazza a sera – ma solo perché era di gran moda l'hair metal, mica per altro) e non c'avrà manco una connessione 56k per rendersi conto che c'è talmente tanta musica in giro che la gente si è resa finalmente conto che lui musicalmente parlando è uno degli artisti più sopravvalutati di sempre.
Bon Jovi non dovrebbe parlare di cose che non sa, cazzo.

16 marzo 2011

ADESSO TI SPIEGO COME VANNO LE COSE IN ITALIA (cit.)


Venerdì sera son partito a caso per andare al Covo fermamente convinto che suonassero gli Ex-Otago ed invece poco dopo essere entrato ho scoperto che gli Ex-Otago sono di scena venerdì 18 marzo e l'ho presa in quel posto al modico prezzo di 8 euro per l'ingresso+3 euro di guardaroba (notare la proporzione che è quasi di uno a due, roba che se lo sa il Rag. Giulio Tremonti corre subito a disegnare un paio di grafici esplicativi del fenomeno sulla lavagnetta ad Annozero e di conseguenza viene incalzato da un disoccupato che a fine trasmissione lo trattiene ulteriormente in studio per spiegargli come vanno davvero le cose in Italia. Idolo quel ragazzo, se lo vedo in giro gli offro da bere). Capita anche nelle migliori famiglie.

Non riesco proprio a spiegarmi come tutto ciò possa essere successo (o forse sì, dovrei drogarmi peso come fanno tutti) ma ciò che rimane è che mi son visto un concerto di cui mi importava poco e nulla e che mi ha lasciato ancor meno. E tutto questo non perché i gruppi fossero poi tanto male, ma perché sentendoli mi sembrava di essere salito sulla DeLorean di Ritorno al futuro ed essere tornato al 2002, con il gruppo spalla che faceva roba tipo Isis ed il gruppo principale che faceva roba tipo Interpol meets i Litfiba con Cabo alla voce (e che oltretutto aveva un bassista identico ad un amico tossico di mio cugino, per me era lui sul serio). I presenti non si rendevano conto che non siamo più nel 2002 ma nel 2011, o forse se ne rendevano conto ma non si facevano le menate che mi faccio io e giustamente pensavano solo a godersela (troppo facile godersela quando sei ad un concerto di cui ti importa qualcosa, ma tant'è). Io ultimamente ascolto solo Jovanotti e i Subsonica, non mi abbasso a roba che era all'avanguardia nel 2002 quando ero ancora giovanissimo. Io dalla vita cerco altro, non so cosa ma cerco altro - e mi comporto di conseguenza.

Non ho nemmeno voluto umiliarmi rimanendo al Gash! dopo il concerto, certa dance avanguardista la lascio ad altri (che saluto). Son tornato a casa con le pive nel sacco e vinto dalla stanchezza ho dormito quindici ore consecutive, svegliato solo da un anziano al bar sotto casa mia che - al quinto o sesto Fernet Branca - recitava con enfasi le probabili formazioni delle squadre impegnate il giorno seguente nel campionato di Serie A, i risultati degli anticipi, le ultime del calciomercato, le bombe di Maurizio Mosca (R.I.P.), gli interi ventuno minuti giocati nel campionato italiano da Saadi Al Gheddafi ed un paio di pezzi a caso di Majakovskij. Niente di clamoroso, niente per cui scomodare le Forze dell'Ordine per interrompere un disturbo alla quiete pubblica, ma sempre meglio di Pierpaolo Capovilla che si limita a recitare senza enfasi Majakovskij atteggiandosi a novello Carmelo Bene. Non c'entra un cazzo ma era bello dirlo, perché io dalla vita cerco altro, non so cosa ma cerco altro - e mi comporto di conseguenza.

14 marzo 2011

SI VINCE E SI PERDE, SI PESTANO MERDE CHE SI INFILANO NELLE FESSURE SOTTO LA SUOLA

Vedendo e sentendo cosa passano le radio e le tv musicali di regime un set di domande sorge spontaneo: e adesso invece? Che tempi sono? Adesso accendi la tv o la radio e trovi un video dei Modà, perché? Chi sono? Da dove sbucano fuori? Perché piacciono così tanto? Perché fanno video che non hanno un senso? Perché le prime volte che li sentivo credevo che fossero i Negramaro ed in silenzio urlavo “cazzo, che sfiga... è tornato il ciccione pelato”? Perché le grandi case discografiche non contente di tritarci i marroni con i Negramaro proseguono a tritarceli con i loro cloni? Perché sembrano un gruppo costruito a tavolino per emulare i Negramaro? Perché non hanno fantasia? Perché sono andati a Sanremo con una che ha vinto Amici? Perché quando suonano il loro chitarrista e bassista sfoderano quelle pose assurdamente e ridicolmente metal? Non è che erano un gruppo metal che poi ha svoltato?Perché si vede lontano un miglio che una volta erano un gruppo metal ma avendo fiutato l'affare (ed avendo trovato un cantante con la voce di Giuliano Sangiorgi) ora fanno i Negramaro e ci stanno guadagnando un bel po'? Perché il loro cantante è magro ed ha i capelli e quello dei Negramaro è un ciccione pelato? Vengono da Lecce come i Negramaro o hanno falsificato le carte d'identità per poter dire in giro che sono leccesi? Mi tengo i miei dubbi e quando sento una canzone dei Modà rido, perché in fondo sono una band simpatica che merita il successo che ha sta ottenendo proprio perché fa ridere. Ci vuole del coraggio ad essere come loro. Se proprio devo sorbirmi un clone dei Negramaro sempre meglio loro degli Sugarfree, che suonavano alle feste di Alleanza Nazionale e sono spariti nel nulla. Che fine hanno fatto? Mi mancano, ma è troppo presto per dirlo apertamente. Devono passare minimo altri tre anni.

12 marzo 2011

IF YOU WANT TO SUCCEED, YOU HAVE TO BELIEVE IN YOURSELF. HERE'S HOW TO DO IT.

Attendo con parecchia ansia il nuovo programma di Giuliano Ferrara che andrà in onda tutte le sere dopo il Tg1 soprattutto perché ho letto che per permettergli di condurre al meglio han dovuto smantellare un intero studio e allestirgliene appositamente uno nuovo (forse perché data la sua stazza Ferrara nel vecchio studio non ci stava) e perché a quanto pare gli hanno fatto un contratto da un milione e mezzo di euro l'anno (tipo un calciatore, solo che i calciatori sono meno intelligenti di Giuliano Ferrara e soprattutto non li pagano con i soldi del canone tv). Sono sicuro che quel programma sarà una figata e ci sarà da ridere tantissimo, sarà più o meno una cosa simile a Fabrizio Corona che si introduce di soppiatto in casa della madre di Sarah Scazzi entrando dalla finestra. Comunque vada sarà un successo, comunque vada sarà sempre meglio di Fabio Fazio che ha dedicato una puntata intera a Roberto Saviano e al suo libro di recente uscita nel quale sono contenuti i suoi monologhi di Vieni via con me (che palle però, ancora lì a menarla con quel programma. Vorrei anche scrivere che palle lo sfruttamento della figura di Saviano in generale, ma non lo scrivo perché non voglio passare per un fiancheggiatore della camorra) o di Nichi Vendola che durante la diretta tv su Rai News di un suo discorso cita Slow Food tra le sue fonti di ispirazione (sentendolo mi è venuta istantaneamente voglia di farmi due Big Mac Menu con patatine fritte e tutte le salse possibili, ed infatti l'ho fatto ed ora sono un uomo con un miglior rapporto grasso/massa magra). Pagare il canone è bello anche perché la Rai è capace di regalare soddisfazioni come quella di vedere Giuliano Ferrara nella fascia oraria che fu Enzo Biagi. Uno sbadiglio lo sommergerà (anche se è di stazza parecchio ingombrante).

Ecco, nel libro Popstar della cultura scritto da Alessandro Trocino più o meno c'è dentro tutto questo, anzi molto di più: ci sono i ritratti di sei personaggi come Mauro Corona, Roberto Saviano, Beppe Grillo, Giovanni Allevi, Carlo Petrini, Andrea Camilleri, sei intoccabili elevati al rango di intoccabili da certa sinistra (ma anche da certa destra) e considerati veri e propri guru da centinaia di migliaia di persone. Che si possa essere d'accordo o no con l'autore (personalmente Allevi lo dimenticherei chiuso nella mia auto sotto il sole cocente d'agosto, Saviano mi piace molto anche se deve un pochino rilassarsi perché lo vedo male, Grillo lo considero un fascistello potenzialmente pericoloso ma magari tra qualche anni rivedrò sicuramente il mio giudizio su di lui, gli altri non me li filo proprio perché potenzialmente innocui) resta il fatto che il libro è uno di quelli che - dietro ad una scrittura brillante e narrazione di fatti reali che messi in fila uno dietro l'altro finiscono per risultare assolutamente spassosi – nasconde un significato non troppo nascosto e ti porta a riflettere su come gli italiani non ce la facciano proprio a non affidarsi all'Uomo della Provvidenza e a riporre in lui tutte le speranze di salvezza (che, a seconda dei casi, è una salvezza culturale, alimentare, musicale o politica), spingendosi fin quasi ad adularlo omettendo però di vederne i lati negativi.

Che poi gli italiani stanno dalla parte dell'Uomo della Provvidenza fin quando le cose non mutano e non accade un evento che li porta a gettarlo dal piedistallo e a prenderlo a calci (in senso figurato, ma anche no), sostituendolo con un altro Uomo della Provvidenza più bello e più giusto – ma questo è un altro discorso su cui non è bello porre l'attenzione ed allora parliamo d'altro, cioè di niente.

10 marzo 2011

IL LAVORO NOBILITA L'UOMO E LO RENDE SIMILE AD UNA BESTIA



Mi sono reso drammaticamente conto che su La7 va in onda un reality show chiamato Il contratto - Gente di talento in cui il premio finale di ogni puntata è un posto di lavoro a tempo indeterminato (copiaincollo a caso le illuminanti note esplicative prese da un sito trovato per caso: "Sicuramente questo reality farà felicissimi tutti i disoccupati d’Italia che sicuramente faranno a gara per poter partecipare e avere l’opportunità di guadagnarsi questo lavoro in azienda. Il 22 febbraio capiremo meglio il totale funzionamento del reality sicuramente non ci saranno nomination o linguaggio poco televisivo" - l'italiano corretto e ben scritto aiuta sempre a capirne di più, soprattutto quando l'idea di partenza di un reality è un'idea di merda). Ho provato a guardarlo e mi son reso conto che fa letteralmente schifo, più schifo di quanto pensassi. Oserei dire inguardabile, ma ho troppo rispetto per l'operato dei cameraman sicuramente precari che hanno lavorato al programma per dire che è inguardabile, quindi mi limito a dire che è un reality ributtante perché non rispettoso della difficile situazione lavorativa (lavorativa per usare un eufemismo, spesso e volentieri il lavoro non c'è) che si trovano loro malgrado a vivere tanti ragazzi italiani (e probabilmente pure i Ragazzi Italiani) ma soprattutto perché cerca di fare audience sulle disgrazie di una intera generazione.
Non vale nemmeno la pena di perdere altro tempo a parlarne, pensiamo solo che c'è un reality che offre come premio un posto di lavoro a tempo indeterminato a mo' di presa in giro, ci sono pochi fortunati che vinceranno dopo essersi umiliati in tv, ci sono migliaia di ragazzi che non trovano lavoro e ci sono autori di programmi da prendere a calci in culo (in senso figurato s'intende, io sono sempre per la non violenza). Speriamo che termini presto e che tutti se ne scordino ancor più in fretta.

UN'ARMA POTENZIALMENTE LETALE: un libro di Christian Zingales su Franco Battiato

Una volta ero in vacanza al mare con i miei amici (una di quelle vacanze medio-adolescenziali fatte di appartamenti gremiti di gente che non c’entra nulla con chi ha originariamente sottoscritto il contratto d’affitto, imprese eccezionali, notti interminabili, biciclette rubate, vandalismi rimasti impuniti, pranzi e cene saltati per risparmiare et altre belle cose frutto di un certo sprezzo del pericolo) ed uno di loro è entrato in un emporio per comprare cartoline e francobolli ma alla fine ha rubato un libro sugli Oasis ed è uscito di corsa. Non so perché lo abbia fatto, ma è andata a finire che leggendo quelle epiche pagine si è esaltato, si appassionato alle vicende di un gruppo che prima non conosceva, ha deciso di provare ad ascoltarlo, ha avuto buone vibrazioni ed è diventato grande fan (il fatto che poi nel corso del tempo il destino lo abbia portato a diventare direttore artistico di locali notturni di prestigio che non c’entrano nulla con la band inglese è un particolare secondario).

Ecco, io con Franco Battiato voglio fare così. Sono ignorante perché lo conosco solo superficialmente (diciamo che conosco solo “La voce del padrone” ed i dischi d’esordio in cui faceva roba drogatissima senza però drogarsi, il resto non lo conosco perché il personaggio Battiato mi ha sempre un tantino spaventato) ma voglio diventare suo fan, voglio conoscere tutto di lui, voglio imparare a vedere il mondo dal suo punto di vista, e tutto perché ho letto “Battiato On The Beach”, opera di Christian Zingales a lui dedicata (sia chiaro, non l’ho rubata ma pagata – anche se poco in confronto al suo reale valore artistico) e sono rimasto folgorato.

Oddio, folgorato è una parola grossa (meglio dire che ne sono stato assorbito totalmente), però quelle pagine sono realmente avvincenti perché fanno una cosa molto semplice eppure a modo suo geniale: mettono al centro di tutto l’uomo e le sue emozioni. Troppo facile descrivere pedissequamente la discografia di un artista o le sue opere salienti. Ci riescono tutti. Meglio partire da un episodio come vedere per la prima volta l’artista in questione, raccontare il turbinio di emozioni e sensazioni che il personaggio riesce a scatenare e poi andare avanti ed indietro nella sua discografia, nella sua vita, nella sua arte.

In poche parole, “Battiato On The Beach” sembra quasi una sorta di autobiografia di Zingales, un’opera in cui l’autore descrive con dovizia di particolari il suo incontro/scontro con la musica di Battiato e la sua frequentazione con essa, e di pari passo traccia un ritratto dell’uomo Battiato e della sua evoluzione umana ed artistica, avendo cura di non tralasciare nessun aspetto riguardante le emozioni, le asperità, le debolezze, i vizi, le virtù e soprattutto preoccupandosi di contestualizzare il tutto. Una scrittura molto personale (talvolta ai limiti del flusso di coscienza, ma tanto per dire il tentativo riuscito di parallelo/confronto tra le figure di Battiato e Berlusconi è roba da standing ovation) che solletica la curiosità e, se sei un neofita e/o se sei spaventato dalla gente come Battiato (o come Zingales), ti spinge a cambiare idea, a voler approfondire, a voler iniziare a padroneggiare la materia, a voler far sfoggio della tua cultura con il resto dell’umanità o semplicemente con la tua cerchia di amici. Non una cosa da poco dunque, soprattutto in tempi di emozioni usa e getta come sono quelli che stiamo vivendo attualmente.

(Indie For Bunnies)



08 marzo 2011

L'EQUILIBRIO TRA I POTERI



Sto cercando disperatamente una cassetta dall'illuminante titolo di Rovigo Sounds che alcuni ragazzi ferraresi registrarono artigianalmente durante gli anni ottanta e che si è tramandata di generazione in generazione, icona di un'epoca adolescenziale che purtroppo mai più ritornerà. Quando frequentavo le scuole medie ero entrato furtivamente in possesso di una copia del capolavoro ma l'ho talmente ascoltata che si è sfaldato il nastro e si è tramutata in un ricordo, un ricordo che ora non riesco a trovare nemmeno su siti specializzati come eBay o Amazon (in rete l'ho vista citata solo su un forum di ultras della Spal in un post datato 2006, figuriamoci se la posso trovare su eBay o Amazon). Se devo dirla tutta, con il suo cantato incerto, con le sue tematiche che definire politicamente scorrette è poco, con la sua registrazione incerta è stata l'influenza culturale principale della mia gioventù, e se la trovassi la farei volentieri ascoltare a chi nel 2011 organizza ancora eventi pubblicizzati da locandine che al loro interno contengono la dicitura “cultura underground” ed ha pure il coraggio di tappezzare via Righi a Bologna con le suddette locandine. Cultura underground, nel 2011: ma vai a lavorare, culattone raccomandato – o almeno ascoltati Rovigo Sounds se per caso la trovi. Io non riesco a trovarla e un po' ci sto male.

Questi geni del male che l'hanno prodotta altro non hanno fatto che fare cover di grandi successi sessanta/settanta/ottanta, cercando di cantare sopra la versione originale storpiando il testo in chiave anti-Rovigo oppure sessual-godereccia e registrando il tutto con un registratore di quelli tipici anni ottanta. Si dice che tra gli oscuri autori del capolavoro ci sia anche un allora giovanissimo e non ancora famoso On. Dario Franceschini (che in seguito si è dissociato dopo che i suoi colleghi hanno deciso di evolversi ed iniziare a produrre versioni pirata di film famosi doppiati in dialetto ferrarese), ma la voce non è mai stata confermata (io comunque preferisco credere che sia vero, fa troppo ridere) e pertanto non è certo che ci fosse anche il buon Franceschini tra coloro hanno registrato quel culto totale che risponde al nome di Rovigo Sounds.

E Ferrara Sotto Le Stelle (la Glasto italiana, un punto di riferimento per ogni appassionato di un certo tipo di musica, uno dei festival estivi più importanti d'Italia e forse d'Europa, e via discorrendo) non può rimanere insensibile di fronte ad un fenomeno di tale portata socio-culturale, non può ignorare quanto sono state importanti quelle canzoni scurrili per intere generazioni di ferraresi, non può chiamare artisti di chiara fama internazionale come

  • PJ Harvey (6 luglio)

  • i National (5 luglio, con Beirut che apre)

  • Sufjan Stevens (24 maggio, per la prima volta in Italia!)

e non ospitare sul proprio palco una reunion dei tizi che stanno dietro al progetto Rovigo Sounds (magari nel Cortile del Castello Estense) per eseguire dal vivo l'intera cassetta (anche in playback comunque andrebbe bene lo stesso, anzi farebbe più ridere). Sarebbe il coronamento di un sogno, sarebbe Maometto che va alla montagna quando la montagna non va a Maometto, sarebbero due mondi distanti che convergono e chissà cosa ne verrebbe fuori. Speriamo che avvenga il miracolo ma per ora accontentiamoci di PJ Harvey, National e Sufjan Stevens, in attesa di altri nomi, altre facce, altri suoni, altre leggende metropolitane.

E sempre nell'attesa di altri nomi, altre facce, altri suoni, altre leggende metropolitane il 26 febbraio sono andato a vedere l'immarcescibile Gianluca Grignani in concerto in un teatro di Ferrara (in un evento che sia chiaro non c'entrava nulla con Ferrara Sotto Le Stelle). Sono riuscito ad entrare calandomi dal camino del teatro, ero emozionatissimo perché per la prima volta riuscivo a vedere in concerto uno dei miei idoli nonché modelli di vita, è stato talmente bello che mi sono addormentato quando ha iniziato ad esibirsi e mi sono svegliato il giorno dopo quando nel teatro non c'era più nessuno. Peccato, mi sono perso le ballerine che ballavano mentre lui ed il suo gruppo suonavano, mi sono perso la quadrifonia (una cosa che solo chi è riccardone dentro può capire, ed infatti io non ho capito cosa sia), mi sono perso alcune loffie versioni dei suoi più grandi classici, mi sono perso i pezzi più recenti che non saranno mai all'altezza dei suoi primi tre dischi però ho letto in giro qualche recensione ed è come essere stato sveglio e partecipe per tutta la durata dell'evento, il che non è cosa da poco se si considera che almeno il 70% delle recensioni di concerti che appaiono sulla stampa musicale non sono per nulla emozionanti. La prossima volta comunque mi bevo un paio di caffè prima di calarmi dal camino e non se ne parli più.

06 marzo 2011

PATER NOSTER INTRODUTTIVO



Ci pensavo qualche sera fa, mentre ero alla guida della Squalo che mi ha gentilmente prestato mio padre e che ha un impianto con lettore Stereo8 da paura che mi permette di ascoltare meglio la musica (ovviamente dopo averla copiata su cartucce Stereo8, ma è un particolare secondario): Evil Empire dei Rage Against The Machine è uscito quindici anni fa ma ne sembrano passati almeno trenta o quaranta. Un disco invecchiato malissimo, caratterizzato da bei suoni e bella produzione ma nel quale ci sono tre-idee-tre sfruttate fino allo sfinimento (soprattutto mio, mentre lo riascoltavo ero talmente sfinito che mi son chiesto come un tempo potesse piacermi così tanto) ma soprattutto da un volersi ergere a salvatore della patria quando la patria era già andata affanculo da mo'. Tom Morello in questo disco si dimostra più che mai un chitarrista sopravvalutato visto che suona sempre gli stessi quattro riff (che poi a dire il vero sono riff dei Led Zeppelin o dei Black Sabbath, ma facciamo finta che siano suoi) e li camuffa con effetti e trovate varie (sempre gli stessi trucchi anche quelli), Zack De La Rocha mi fa venire voglia di votare Lega Nord per quanto è scontato e banale, mentre tutto il resto è game over visto che il bassista ed il batterista dei Rage Against The Machine sono sempre stati due personaggi secondari e non se li è mai filati nessuno. Forse negli anni novanta eravamo talmente ingenui che eravamo soliti sopravvalutare certe band elevandole addirittura ad icona generazionale, ma magari eravamo solo teenager e non pensavamo a certe menate.

Giunto a metà dell'album mi era addirittura venuta voglia di aprire il finestrino e lanciare il cd fuori, ma non l'ho fatto perché comunque ho rispetto per ciò che quella band ha rappresentato per me ma soprattutto perché sulla Squalo di mio padre c'è lo Stereo8 e dunque non potevo di certo lanciare dal finestrino un cd che materialmente non stavo ascoltando, ed allora mi son limitato a toglierlo per mettere Good God's Urge dei Porno For Pyros – e le cose sono cambiate di brutto. Good Good's Urge è un disco della madonna e suona più attuale adesso di quando è uscito (tra l'altro nel 1996 come Evil Empire, e lo sfasamento temporale che si ottiene mettendoli a confronto è di quelli che ti mandano in crisi), un'opera troppo ingiustamente sottovalutata che un bel giorno forse verrà riscoperta ed allora tutti si renderanno conto che le cose migliori Perry Farrell le ha fatte qui e non con i Jane's Addiction (sulla sua carriera solista meglio stendere un velo pietoso). Pop visionario e psichedelico, chitarre acustiche pesantemente effettate, Mike Watt al basso e tanta poesia: praticamente un calcio in culo a Dave Navarro, ex compagno di band nei Jane's Addiction che all'epoca suonava con i Red Hot Chili Peppers e che con i suoi assoli di chitarra protohardrock fotteva le pur belle canzoni di One Hot Minute. L'ho ascoltato tre volte di fila ed ora sono una persona migliore - e per giunta mi son reso conto che erano i Porno For Pyros e non i Jane's Addiction che avrebbero dovuto riunirsi (tra l'altro i Jane's Addiction nell'attuale formazione al basso hanno Duff McKagan ex Guns N'Roses, il che è tutto un dire).

Alla fine di tutto, il vero mistero resta un'altro: come hanno fatto gli Eiffel 65 nel 2003 a trovare il coraggio presentarsi al Festival di Sanremo con una canzone come Quelli che non hanno età e tutto il suo corredo di tastieroni da autoscontri, abbigliamento inadeguato, sudore e capelli ossigenati? Canzone immortale, avrebbe meritato di vincere ma l'hanno eliminata senza pietà (chi se ne frega, tanto poi gli Eiffel hanno venduto un botto di dischi e probabilmente ci campano ancora). Uno dei momenti più alti della storia del Festival della canzone italiana, meno male che gli Eiffel 65 si sono finalmente riuniti e quei momenti torneranno. Ad occhio e croce reunion dell'anno.

E la Squalo di mio padre sfreccia più veloce della luce, e nessuno pare essere in grado di fermarla.

05 marzo 2011

The dark side of the spoon: il mio terzo tempo, il quarto e pure il quinto

Diciamo la verità: Max Pezzali all'ultimo Festival della Canzone Italiana non ha fatto una gran bella figura. Si è presentato con una canzone che cercava disperatamente di rinverdire i fasti dei bei tempi che furono senza rendersi conto che non siamo più nel 1994 e la gente è molto cambiata, sia esteriormente che interiormente. Tanto per dire, i giovani che erano giovani allora adesso non sono più giovani ed i giovani di oggi sono diversi dai giovani di allora, sono molto più giovani (con tutto ciò che ne consegue in termini di autentiche illusioni come “mi posso vestire male come mi vestivo male quindici anni fa, tanto mi apprezzano perché sono quello che sono ma soprattutto perché sono genuino”, “posso di colpo presentarmi con una canzone uguale a quelle che facevo ad inizio carriera, tanto io sono così e mi capiranno comunque” , “sono finito artisticamente da almeno dieci anni ma fortunatamente sono uno che sta simpatico alla gente e dunque perdoneranno ogni mio tentativo di raschiare il fondo del barile” e “sono il riccardone della canzone giovanilista italiana”)(dopo aver espresso un pensiero del genere mi gira la testa, rileggendolo non ci capisco nulla ma va bene così). È stato triste vederlo in quello stato, con la voce incerta ed un testo che parla di un ipotetico secondo tempo, ennesimo prototipo di metafora calcistica per annunciare al mondo una sua rinascita che poi non si sa se sia davvero giunta a compimento sul palco sanremese. Davvero triste, mi ha fatto male.

Eppure Max Pezzali resta sempre un grande ed io lo ammiro a prescindere. Con gli 883 ha scritto cose che sono state in grado di entrare nel cuore della gente e lo ha fatto usando un linguaggio il più semplice possibile. Le canzoni degli 883 parlavano di noi, un ipotetico noi che può comprendere sia chi le cose raccontate nei testi le ha vissute o le viveva sul serio che chi come il sottoscritto fingeva di schifare la poetica pezzaliana quando in realtà sotto sotto ne era un grande fan. E di fronte alle parole toccanti, alla magistrale interpretazione di Pezzali e alle melodie killer anche copertine inenarrabilmente inguardabili ed una produzione lo-fi fatta di suoni da pianobar (esemplare il caso di “Tieni il tempo”, all'epoca contrabbandata come la svolta big band degli 883 ma in realtà caratterizzata dagli stessi, bruttissimi suoni degli 883 che facevano tutto e niente con synth e drum machine – gli strumenti suonavano finti forse perché nella big band c'erano pure Saturnino, Paola e Chiara e Demo Morselli) divenivano cose di poco conto, dettagli a cui la gente non faceva caso perché l'importante era altro, l'importante era volare via.

Gli 883 (che poi erano lui e non una band, non ho mai capito perché Wikipedia nella pagina dedicata alla band afferma che quando Pezzali se ne è andato la band è rimasta senza frontman e si è sciolta per il contraccolpo dopo poche settimane) sono finiti nel preciso istante in cui Pezzali si è reso conto di non poter recitare la parte del ragazzo a vita ed ha cercato di scrivere testi un tantino più adulti e maturi, con conseguente tentativo di dare ai brani una veste sonora migliore mediante una produzione un tantino più pulita e ricercata. Si è persa la magia, si sono perse l'urgenza e l'immediatezza e nulla è stato più come prima, ed accanirsi andando avanti contro tutto e tutti è stato un grosso sbaglio (stendiamo a questo punto un velo pietoso sulla sua carriera solista, non vorrei mancare di rispetto al personaggio ma soprattutto non vorrei passare il resto della giornata a scrivere cose e a sputare sentenze alla cazzo di cane). Sul ritorno a Sanremo dopo quindici anni non voglio aggiungere nient'altro a ciò che ho detto in apertura del pezzo, avendo però l'accortezza di far mettere a verbale che io voglio un gran bene a Pezzali, ho enorme rispetto per lui e lo ritengo una delle dieci, quindici persone che sono state in grado di cambiare l'Italia negli anni novanta.
E alla fine di tutto, quali sbocchi potrebbe avere a questo punto la carriera del pur sempre grandissimo Max? I casi sono due: o sale sulla
DeLorean di Ritorno al futuro e tenta la reunion della formazione originale degli 883 - un vero e proprio colpo gobbo che però necessiterebbe anche di un buon pusher che imbottisca di pasticche Mauro Repetto come ai bei tempi – per fare musica del tutto nuova ma che ricordi in maniera clamorosa l'originale, oppure tenta l'operazione autocover facendo uscire delle nuove versioni di suoi brani storici, riarrangiati finalmente in maniera decente per permettere di elevarli al rango di vere e proprie opere d'arte post tutto (magari ci potrebbe anche stare una terza eventualità - ossia fare le autocover di cui sopra dando però in mano l'intera produzione ad un Repetto totalmente fottuto perché ha dato fondo alla scorta di pasticche - ma potrebbero venirne fuori cose tipo una “Come mai” abbellita da bordate di droni che neanche i Sunn O)) in coca più di Fiorello quando conduceva Karaoke oppure una “Hanno ucciso l'Uomo Ragno” con le basse frequenze talmente basse che ti fanno cedere di schianto gli sfinteri e sarebbe troppo pericoloso anche a livello legale). Altro all'orizzonte non vedo, ma posso anche sbagliarmi. Anzi, spero di sbagliarmi e spero che il prossimo album solista di Max Pezzali sia uno di quei capolavori che ti cambiano la vita. L'uomo se lo meriterebbe.

(Bastonate)

01 marzo 2011

VIAGRA E DIGNITÀ, VIAGRA E FONDOTINTA (cit.)


Canale Italia Musica non finisce mai di stupirmi. Era sparita dalla mia tv perché il digitale terrestre è una cagata pazzesca ma poi è tornata più ruspante che mai, talmente ruspante che nonostante si chiami Canale Italia Musica durante la notte invece dei video musicali manda in programmazione televendite di gadget porno condotte da Maurizia Paradiso (e non cambia nemmeno il logo sostituendo alla parola “musica” la parola “minchia”, o magari lo fa ed io non me ne rendo conto perché la notte di solito dormo anche quando sono sveglio davanti alla tv. In fondo minchia e musica sono scritte quasi uguale, ci può stare che non me ne sia accorto). Maurizia Paradiso - che c'avrà almeno cinquant'anni ma riesce ancora a condurre egregiamente televendite e fa sempre ridere tantissimo - nel 2011 su un canale musicale che di notte non trasmette video musicali. Robe da pazzi – ma anche no.

Ma diciamola tutta: da qualunque parte la si voglia vedere è sempre meglio Maurizia Paradiso di una Avril Lavigne qualsiasi, che sono ormai dieci anni che è in giro ma continua ad interpretare con sempre meno convinzione (e con sempre meno dignità) la parte della ragazzina ribelle a buon mercato, quella che attraversa la strada senza guardare ma lo fa sulle strisce pedonali (come nel memorabile video di Don't Tell Me) ed era sposata col cantante dei Sum 41 (un altro grosso enigma del music biz odierno di cui non ricordo il nome, so solo che ha una faccia da cazzo che purtroppo te la ricordi a lungo) ma ora ha divorziato perché probabilmente lo ha scoperto a sniffare Orzobimbo con gli amici. Almeno Maurizia Paradiso ci crede ed è da apprezzare incondizionatamente per il coraggio che dimostra, mentre Avril Lavigne non fa altro che truffare povere fan minorenni che pensano che bastino un paio di borchie, una maglietta con un teschio e qualche ciocca colorata per essere punk rock. È Avril Lavigne che fa della pornografia (per la precisione, pornografia intellettuale), non Maurizia Paradiso, ed allora ben venga il fatto che Canale Italia Musica di notte non programmi più musica ma parli di f**a (non ho scritto la parola “fica” perché Avril Lavigne ed i suoi fan minorenni potrebbero turbarsi leggendola).

Comunque, proprio su Canale Italia Musica (ma di giorno) ho visto il video nuovo di Avril Lavigne e sono stato male. La canzone si chiama What The Hell ed ovviamente è la solita sbobba identica alle altre, sono le immagini che la accompagnano che fanno la differenza: Avril Lavigne per scappare al suo boyfriend lo rinchiude nel ripostiglio, ma lui inspiegabilmente riesce ad uscire e la insegue mentre lei ruba un taxi, fracassa un'auto in sosta, mostra un cellulare Sony Eriksson, mostra un pc Sony Vaio (viene quasi il sospetto che la Sony la paghi per mostrare i propri prodotti nel video, ma tant'è), flirta con alcuni sconosciuti, fa shopping in negozio, indossa una maglietta da hipster con la scritta “What The Hell” e sale sul palco a cantare, palco che inspiegabilmente è nel retro del negozio ove il suo boyfriend sta ancora pagando il conto delle magliette da lei acquistate. Fenomenale davvero, non pensavo che la mente umana potesse spingersi a tanto.

In definitiva non c'è nessuna differenza tra lei e una Rihanna qualsiasi (o forse sì: Avril Lavigne è un tappo ed è inoffensiva mentre Rihanna ha due cosce che sembrano quelle di Roberto Carlos e se ti dà un calcio in culo ti fa malissimo), nonostante le radio e le tv di regime tentino di contrabbandarla come un modello di ribellione adolescenziale. A questo punto è meglio Justin Bieber, che di recente se n'è uscito con un libro esilarante di 70 pagine scritto a caratteri cubitali nel quale ci spiega cosa fa per conquistare una ragazza, come si veste, quali suono i suoi cantanti preferiti, cosa ne pensa della masturbazione (ad occhio e croce la gradisce assai, soprattutto perché poi con i propri umori riesce a fissare alla perfezione il ciuffo), come fa ad avere ancora quella voce lì nonostante abbia sedici anni e mille altri emozionanti dettagli relativi alla sua vita pubblica e privata. Lui sì che è punk rock, altroché Avril Lavigne. Probabilmente Justin Bibier è figlio di Maurizia Paradiso, ma tutto questo Alice non lo sa (non è detto che tutte le fan di Avril Lavigne si chiamino Alice, ma la probabilità è alta – almeno qui in Italia) e probabilmente mai lo saprà perché le grosse major discografiche non glielo hanno mai spiegato. Peccato.