31 maggio 2008

TONIGHT, WE DANCE! (però sul satellite)

Fascination degli Alphabeat andrebbe vietata. È una cazzata di canzone, non ha alcun senso compiuto, è leggera e non lascia nulla, proprio nulla. È una droga. La ascolti e non ne puoi più fare a meno, e la ascolti ancora e ancora. Magari il disco intero fa schifo, ma chi se ne importa? C'è Fascination, e questo basta. Ti viaggia nel cervello come un tarlo e la senti brulicare, si ripropone quando meno te lo aspetti e non ci puoi più fare nulla. È perfetta, è il perfetto motivetto pop, sufficientemente paraculo, sufficientemente ottanta, sufficientemente twee, sufficientemente cazzaro, sufficientemente cucuzzaro. Sono ai livelli degli Aqua, sono la versione indie degli Aqua. Ed io mi ritrovo a cantare Fascination in coro con loro, senza nemmeno rendermene conto. Senza nemmeno sapere il perché.
Anzi, il perché lo so benissimo. È perché una notte in cui non riuscivo a dormire ed ho scelto di guardare la tv per addormentarmi ho visto il suo video passare su Music Line, programma di chicche musicali (spesso ultratrash) e fondi di magazzino (spesso ultramega ok) che va in onda su Rete4 ad orari variabili ed eventuali, Tra un video di Blondie, uno di Grace Jones ed uno di Kim Carnes hanno passato quello degli Alphabeat, scambiandolo probabilmente per un video del 1981. O, peggio ancora, scambiandoli per gli Alphaville. Ma chi le fa le selezioni musicali a quel programma? Io? Emilio Fede? Paolo Del Debbio? Fabrizio Trecca?
Rete4 meriterebbe di finire sul satellite solo per questo, e nessuna legge dovrebbe salvarla da tale destino.

27 maggio 2008

LA VERITÀ SU METAL CARTER LIVE IN CASALECCHIO (freestyle feat. Er P)

Non capisco perché a Casalecchio di Reno abbiano consentito ad un rebel without a pause come Metal Carter di esibirsi in un centrogiovanile comunale. È molto probabile che sia andata così perché le autorità comunali intendevano dare il buon esempio ai giovani locali,insegnando loro che seguire le orme di programmi come Lucignolo è male ed è molto più salutare seguire certi cattivi maestri, ma non ne sono assolutamente certo perché io scelgo la vita; scelgo un lavoro; scelgo una carriera; scelgo un maledetto televisore a schermo gigante; scelgo lavatrici, automobili, lettori cd e apriscatole elettrici; scelgo di sedermi su un divano a spappolarmi il cervello e ad annientarmi lo spirito davanti a un telequiz, meglio se condotto dal futuro Presidente del Consiglio Gerry Scotti.

Eppure così è andata, però è stato veramente bello. Metal Carter a modo suo è un poeta che ti prende per la gola, stringe forte ma ogni tanto ti lascia un attimo di tregua, giusto per farti respirare in vista della ripartenza.

Se tutto ciò è stato voluto dall'assessora alle politiche giovanili Paola Parenti complimenti per la lungimiranza politica: da qui deve ripartire la sinistra, dalle strade! (citando il sommo: "lo leggo nei tuoi occhi Io vengo dalle strade) io per una che mi porta un Metal Carter in grande forma ospite in un centro di aggregazione giovanile (per la cronaca: il Blogos di Casalecchio di Reno) farei campagna elettorale fino a che tutti gli aventi diritto al voto fra i 18 e i 32anni la votino.

E' riuscita pure ad avere Spitty Cash ospite della serata, in barba alla Romania fobia di questi periodi scuri. Vince Alemanno a Roma? E io ti porto il male dalla capitale a Casalecchio di Reno, al poker d'assi (hanno passato il mic a Carter gli Jagermasterz di Benetti DC, Mystic 1 e Dj Demis) ti calo pure, oltre che delle gran paste, l'asso romano romeno Spitty Cash.

Ma torniamo al nostro antieroe, uno capace di usare sampler de "La balena Giuseppina" senza fare le figura del demente, uno che suona la batteria per Max Pezzali , uno che dopo un po' di anni dal suo megahit "Pagliaccio di Ghiaccio" con "Vendetta privata" torna sul luogo del delitto con Pagliaccio di ghiaccio parte 2 e mette i puntini sulle"I": chi ha voluto vedere solo il lato demente del personaggio non ha capito un bel nulla, e la sinistra continuerà a perdere le elezioni proprio per colpa vostra, che gettate merda a calamita sul Carter di turno.Carter è la terza via di cui parla Anthony Giddens, in rima. Perché fra una corazzata Potemkin, un 3 metri sopra il cielo e un MaxPezzali con il teschio sul collo 3 metri sotto terra io rivendico il mio diritto di scegliere Max Pezzali. Perché fra la cancellazione della Festa del Cinema e la sua sostituzione con un festival che incensi Giovannona Coscialunga feat.Martufello scelgo di cacciare dalla festa tutti gli invitati. Perchè all'Antropophagus dei Baustelle e ai "milanesi ammazzano il sabato" preferisco il "make em die slowly" (aka Cannibal Ferox) di Carter.

Ma se Metal Carter fosse la versione metal di Jimmy Carter? Non so, ma in quest'era di reaganismo di ritorno so di sicuro che Carter sarebbeun candidato forte. Sono corsi e riscorsi storici, e chi non conoscela storia è condannato a ripeterla. Pensateci: Carter aveva vinto da Ted Kennedy che ora sta morendo. Reagan ha sconfitto Carter...fate1+1... In ogni caso, dovesse andare male suonate metallo a palla al mio funerale.

Ma non andrà male, ne sono convinto. Non ho la sfera magica, ma posso ragionevolmente affermare che almeno Metal Carter non farà la fine di Mauro Repetto. Uno del genere ha le palle per cavarsela in ogni situazione, e la farà pagare cara a chi sparla di lui. Per cui niente(presunti) film dedicati alla modella Brandi, niente album metaforicamente chiamati Zucchero filato nero, niente camuffamenti Pluto style ad Eurodisney per svoltare la giornata, niente rimpatriate a sorpresa per rompere i coglioni a Pezzali, sommo cantore della gioventù sconvolta metà novanta circa. Solo Metal Carter può permettersi rompere i coglioni a Pezzali, essendo il sommo cantore diun certo tipo di gioventù bruciata che non si accontenta e che degenera sempre, in ogni situazione, solo per il gusto di prendere per i fondelli chi non la capisce. Quindi oltre che la versione metal di Jimmy Carter, Metal Carter potrebbe essere anche la versione metal di Max Pezzali. Dunque, chi è davvero Metal Carter? Il mistero si infittisce, bisogna riflettere e riflettere per risolvere il rompicapo ed arrivare ad una soluzione.
(freestyle feat. Er P)

25 maggio 2008

MASTER OF PUPPETS?

The Age Of The Understatement, il ruffianissimo primo disco dei Last Shadow Puppets, sta facendo gridare tutti quanti al miracolo, ma io non riesco proprio a spiegarmi il perché. È quantomeno sopravvalutato, e dopo ogni ascolto mi lascia dubbioso, molto dubbioso.
A dire il vero, per essere carino è carino ed i brani presi singolarmente fanno anche il loro dovere, ma è tutto l'insieme che non funziona. In definitiva, lo ascolto e faccio sempre molta fatica ad arrivare al termine. Va bene, è un disco ben prodotto, con ottimi arrangiamenti e grandi suoni, non una virgola fuori posto, non una sbavatura. Ma è un disco che alla fin fine risulta freddo e non mi trasmette nulla. Sembra quasi roba pianificata a tavolino, ma magari però il problema è mio e non di Alex Turner e Miles Kane. Anche se è dura da accettare alle volte succede.
E alle volte succede che Alex Turner sia la voce (e la mente) degli Arctic Monkeys, con contorno di MySpace, botto, successo mondiale, due dischi, tour interminabili e tanto tempo libero a disposizione per poter scrivere canzoni nuove e lanciarsi nella nuova avventura. E succede che Miles Kane sia il cantante dei Rascals, una band di recente formazione che solo per puro caso ha un disco d'esordio di prossima uscita. Non è che alla fine The Age Of The Understatement è solo un espediente frutto della mente di qualche spietato discografico che vuole mantenere alta l'attenzione sugli Arctic Monkeys e contemporaneamente lanciare i Rascals? A me quasi quasi viene da credere che le cose stiano così, ma purtroppo sono sempre il solito bolscevico sospettoso di chi il successo (ed il denaro) se lo è sudato tutto, e quindi la mia opinione conta come quella di Lamberto Dini: zero.
Ma poi, in definitiva, chi se ne importa? Tanto i due dischi degli Arctic Monkeys rimangono sempre due vere e proprie bombe perfette dall'inizio alla fine, ed in più non è poi tanto male se ogni volta che ascolto i Last Shadow Puppets devo stoppare perché mi vien subito voglia di ascoltare i sempre troppo sottovalutati Coral.

24 maggio 2008

GRANDI INTELLETTUALI A CONFRONTO

Max Pezzali terrorizzato, gara a chi ha le occhiaie più marcate, grasso che cola, adiposità in continuo aumento, barbe incolte, neuroni che volano come rondini a primavera e Carter nemmeno se ne accorge, dichiarazioni palesemente rilasciate sotto minaccia, aspettarsi di veder sbucare fuori da un momento all'altro Giulianone Ferrara, situazioni surreali, situazioni che vorresti essere lì per poi poterlo raccontare agli amici al bar. Stessa storia stesso posto stesso bar.

A questo punto una collaborazione tra Pezzali e Metal Carter è un dovere morale.

22 maggio 2008

SONO UN AUTARCHICO, STATALISTA E TELEORIENTATO

Devo essermi totalmente rincitrullito, però Your Heroil nuovo singolo in cui i Finley finalmente cantano in inglese – mi piace, e pure parecchio. Non riesco a spiegarmi il perché di questo strano fenomeno, è molto dura da mandare giù ma purtroppo la realtà è questa e devo accettarla. Anche se fa male.

Quando mi capita di imbattermi in questa canzone la ascolto, quasi in estasi. Forse è perché sono un Marco Maccarini wannabe o molto più probabilmente perché era da tanto tempo che non sentivo musica così finta e pretenziosa, spacciata come nuova anche se poi tanto nuova non è (Your Hero è infatti la versione in inglese di Ricordi, il brano con cui i miei eroi si sono presentati al Festival di Sanremo). Puro fastidio in tre accordi, insomma. Da dove salta fuori roba del genere? Come si può riuscire ad avere successo pur chiamandosi Pedro, Ka, Ste e Dani e duettando con una che si chiama addirittura Belinda? Come si può scrivere un testo che parla dei “veri eroi di oggi, che in un mondo in cui nessuno ha super-poteri, sono le persone che nel loro piccolo riescono a fare qualcosa per gli altri” e guardarsi ancora allo specchio senza sentirsi un tantino a disagio? Si può, eccome se si può. Basta avere coraggio e faccia tosta da vendere. Ed, in caso di sensi di colpa vari ed eventuali, basta pensare al cash che arriverà a fine mese e tutto passa. In poche parole, un fiume di denaro funziona benissimo come giustificazione per ogni genere di bruttura musicale.

Ecco, il vero motivo per cui mi piace Your Hero e per cui la difendo a spada tratta da ogni genere di critica è che è talmente brutta e trash da risultare bellissima. Ci vogliono le palle per presentarsi in giro suonandola (dal vivo o in playback non importa, tanto è uguale perché l'effetto è lo stesso), ma i Finley ce la fanno e sono dei grandi! Grandissimi! Li ammiro molto perché sono persone di un certo livello che sanno compiere scelte nette e definitive, quasi impopolari: impopolari come la scelta di essere una divertente miscellanea di stereotipi di un genere musicale che ha già dato tutto ciò che poteva dare almeno otto anni fa (e sono di manica larga), testi da terza liceo, camicie nere, cravatte, frangette, polsini e scarpe da skate. Manca solo che si mettano ad andare in giro con lo skate in spalla senza saperlo usare e poi siamo al completo, ma, visto come stanno le cose, come si può non voler bene a tipi svegli come loro ed elevarli al rango di propri idoli totali?

Ai Finley quindi vanno tutta la mia stima e tutto il mio sostegno, anche solo per la favolosa acconciatura del cantante Pedro. Un incrocio tra il primo ed inimitabile Alex Del Piero (zazzera foltissima e molto voluminosa) e Gigi Marzullo (capelli lunghi e molto unti, portati con la riga di lato), un autentico miracolo della tricologia che un giorno verrà studiato nelle scuole di tutta Italia. Li voglio così anch'io.

19 maggio 2008

PER GARANTIRE LA SICUREZZA È ALTRESÌ NECESSARIO:

Mi hanno segnalato un'iniziativa bella ed importante, un'iniziativa alla quale è doveroso essere presenti. E quindi, nonostante il fatto che io sia tutto tranne che un massimalista (sono infatti un liberalsocialista, riformista, progressista, pacifista, ottimista, salutista, umorista, casinista ma soprattutto un minimalista), ci sarò.
Presentazione del documentario Nazirock, a quanto pare. Con annessa discussione assieme al regista Claudio Lazzaro e al presidente dell'Anpi Daniele Civolani. Parecchio interessante, anche solo per capire il perché e il percome di certe cose e magari anche fare qualcosa per prevenirle e/o combatterle.
Ci sarò tra le briciole della tua tovaglia quando sfuggi al suono della sveglia. Ci sarò dentro l'alba che ti meraviglia, si spalanca un sole che ti abbaglia. Ci sarò ma non parlare più con la tua ombra, cercheresti chi mi rassomiglia. Ci sarò tra le briciole della tua tovaglia, quando togli maschera e trucco e decidi di essere te stessa. Ci sarò nonostante i flyers con la bandiera cubane (non capisco perché scomodare Cuba – una dittatura – per un documentario del genere, ma magari chiederò magari informazioni in loco), nonostante i no pasaran e la retorica spiccia di certa sinistra che a volte mi dà addirittura l'impressione di vivere un tantino fuori dal mondo.
Che poi magari sono io che sbaglio e non comprendo cosa è importante e cosa no, ma l'impressione che ho quando sento parlare gente come Bertinotti, Giordano e Ferrero è quella (e anche quando mi capita di sentire un qualsiasi alto papavero a livello locale il risultato purtroppo non cambia, e fuggo a gambe levate). Io difendo sempre e comunque i militanti di base che ci credono veramente ed in tutto questo tourbillon salvo solo Nichi Vendola, che mi chiedo cosa ci stia a fare lì e non riesco mai a darmi una risposta. Misteri.
Ma torniamo al punto. Il punto è Nazirock+dibattito. È importante. Qualcuno che io rispetto molto diceva: «Quelli sono ragazzi normali esattamente come te od i tuoi figli. Se li incontri per strada - a uno a uno - sono capaci di darti anche l'anima, se ti serve». Io non la penso così, anche perché di solito quando ti capita di incontrarli purtroppo non sono mai da soli. E quindi domani sera sarò presente.

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O le cose si fanno completamente o non si fanno proprio. Le cose lasciate a metà non hanno senso. Ed allora per completare l'opera io ho deciso di non badare a spese e, vincendo la mia proverbiale ritrosia al confronto diretto, ho chiesto un parere sul tema ad un misterioso esperto assolutamente autorevole. Ho rischiato parecchio - ma se nella vita non si rischia che gusto c'è? - ma è stata un'importante lezione di vita. Ecco cosa ne è venuto fuori.

Si ha un bel dire che questa è retorica…

Difficile, quando si parla di un tema come quello affrontato dal documentario di Claudio Lazzaro, evitare la retorica. Mi vengono in mente le parole dell’ex skinheads rosso Riccardo Pedrini (forse noto oggi ai più come Wu Ming 5, che di questi temi se ne intende…) che diceva che per certe cose la retorica è forse necessaria.

Per me Nazirock rimane innanzitutto un libro del “sociologo di strada” Valerio Marchi (purtroppo morto improvvisamente circa due anni fa) scritto sì in modo partigiano ma con una competenza e scientificità di cui, per quel che riguarda le sottoculture giovanili tutte (e non solo ultrà o skinheads di destra) Marchi rimane esempio più unico che raro. I “giornalisti terroristi” (citazione colta) che hanno travisato il termine embedded journalism avrebbero da imparare qualcosa dai libri di Marchi (cercate la sua bibliografia su google e fatevi una cultura cercando tutte le sue opere: un capitolo del libro citato appare nel libro Ho il cuore nero allegato al DVD di Nazirock), che, fedele alla tecnica dell’osservazione partecipante cara alla scuola di Chicago è arrivato a descrivere in modo talmente preciso il fenomeno della musica RAC/White Power o come la vogliamo chiamare forse meglio dei protagonisti stessi: prova è che la sua competenza nel documentario Nazirock gli è riconosciuta nientemeno che dai Legittima Offesa (gruppo musicale di white criminals, stando alla loro definizione, di Bologna che sono intervistati lungamente nel documentario).

La retorica, già.

Quella forse usata dal regista (che va detto, incorre ad esempio in una cappella voluta o meno, ma la cosa fa comunque pensare, quando collega i fatti di Catania, ossia l’ omicidio del poliziotto Filippo Raciti ai testi violenti di certi gruppi musicali nazi mentre invece il testo che usa è quello di una punk band simbolo per i compagni, i comaschi Erode, paradossalmente usata da una band nera…paradossalmente ma non troppo direi io).

Già, la retorica necessaria usata forse da gran parte dei 10000 di Verona ieri alla manifestazione per ricordare il giovane ucciso negli scorsi giorni (giova ricordarlo: il presidente del museo della Resistenza di Verona, nonché presidente del consiglio comunale della città è Andrea Miglioranzi della Fiamma Tricolore, che di Nazirock se ne intende sicuramente più di Lazzaro visto che è stato il cantante dei Gesta Bellica( http://it.wikipedia.org/wiki/Gesta_Bellica), storico gruppo RAC veronese che, curiosamente ha una canzone dal titolo No Pasaran, sempre a proposito di linguaggi comuni usati da parti “contrapposte”).

Retorica necessaria, quando si parla di temi come questi, e ben venga un documentario come Nazirock che fa scoprire alla maggioranza (soprattutto sinistrorsa) che non lo sa, o che per un motivo o per l’altro continua a ignoralo, che la retorica i vari Gianluca Iannone (www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2843&Class_ID=1004 - 32k -) la sanno spesso usare molto meglio per parlare alla gente e soprattutto ai ragazzi.

E qui dissento con Federico, perché salvo i vari cattivi maestri (come Roberto Fiore, quasi protagonista del documentario almeno a suo avviso, che ha simpaticamente messo i bastoni tra le ruote del regista, nell’impossibilità di metterglielo sulla capa il bastone, come ai vecchi tempi…anzi no, materialmente non l’ha mai fatto mandando avanti avventati sbarbi, come facevano dall’altra parte 30 anni fa) molti di quei ragazzi (alcuni si vedono anche nel documentario), quasi tutti, anche i 5 ragazzi di Verona che hanno pestato a morte un loro coetaneo sono “solo” persone dis-educate, nel senso letterale del termine, che qualcuno (i Fiore della situazione) ha provveduto ad educare, facendo (male?) il lavoro che altri non hanno fatto.

Ben venga dunque Nazirock, a fare quello che gli espertoni di scienza della politica chiamano mainstreaming, (cercate su google il significato) di un fenomeno sottoculturale sconosciuto ai più.
Claudio Lazzaro con il suo documentario ci dice e ribadisce, se ce ne fosse bisogno che le colpe dell’ignoranza, della mala-educazione o della dis-educazione dei giovani pischelli che cercano risposte alla disoccupazione, alla ricerca di identità personale, alla globalizzazione, etc… e le trovano nel revival del nazifascismo non è solamente loro, dei loro genitori e dei cattivi maestri del caso. Di chi allora, le colpe?

Io personalmente la risposta l’ho trovata nella frase finale della definizione di retorica (secondo
wikipedia: dal greco rhetoriké téchne, arte del dire): la teorizzazione dell'oratoria, è l'arte di saper parlare bene e di strutturare nella forma più convincente e persuasiva un discorso, esaltando i propri punti di vista e disprezzando quelli altrui.

Lazzaro, da bravo documentarista quale è, aldilà del risultato pratico-stilistico che lascio giudicare a Voi dopo la visione del documentario, è riuscito, tutto sommato, ad andare oltre la retorica, necessaria perché, proprio come il suo ispiratore Valerio Marchi, si è fatto delle domande e ha provato, il più delle volte riuscendoci a mio avviso, a non disprezzare a priori il punto di vista degli altri, per quanto “ributtante” esso possa apparire. Come diceva un cattivo maestro: “meditate gente, meditate”.

Aldilà della retorica, aldilà della fatale attrazione a disprezzare i punti di vista altrui, per quanto ributtanti essi possano apparire.

Meditate gente, meditate, basta solo volerlo.

18 maggio 2008

PIACERE A TANTA GENTE È UNA GABBIA SEDUCENTE

I Prinzhorn Dance School sono in due e sembrano due modelli di una qualsiasi campagna pubblicitaria di Calvin Klein. Lui alla chitarra e lei al basso, minimali e minimalisti, dal vivo arrivano al traguardo sorretti da un batterista che non perde un colpo. Il trick è aggredire o subire, e loro scelgono di aggredire i presenti con una colata di un materiale incandescente fatto di due voci e pochi, semplici accordi reiterati per un concerto che non fa prigionieri.
Sono monotoni, ma il loro bello è proprio questo. Ti sembra sempre di sentire la stessa canzone dall'inizio alla fine, ma non ti annoi mai. Semplicemente non te ne rendi conto. Rimani profondamente concentrato, non vuoi perdere nulla di quello che hanno da dire e diventi improvvisamente consapevole che tutto cambia per non cambiare niente. E non importa se già al quarto brano ti viene il sospetto che ti stiano fregando e stiano suonando la stessa, identica canzone con cui hanno aperto, questa è roba che scotta. È blues, è punk, è techno sedata e lasciata morire di stenti al sole delle spiagge di Brighton. Ma niente Big Beach Boutique, solo morfina e paranoie assortite. Un contrasto pieno-vuoto da far tremare i polsi, un grande gruppo.
E dunque mi ha fatto piacere che in parecchi siano accorsi al Locomotiv per sentirli, mi fa piacere che il concerto abbia rispettato le attese e mi piace l'idea stessa che un gruppo del genere possa piacere a tanta gente senza nemmeno volerlo. Purtroppo Your Noise non parlerà mai di loro, ma vuoi mettere la soddisfazione?

IL SEGRETO DI PULCINELLA

The Devil, You + Me, il nuovo album dei Notwist, è una vera bomba. Necessita almeno di tre o quattro ascolti esplorativi per essere capito del tutto, ma poi ci entri dentro e non ne esci più. Un disco che è puro dramma umano - nel senso che per quanto è bello mi vien da piangere ogni volta che lo ascolto - profondamente diverso da Neon Golden eppure altrettanto bello. Chi lo sottovaluta, o, peggio, lo definisce un esercizio di stile si sbaglia di grosso, o almeno così credo. Ma, non essendo ancora ufficialmente uscita sul mercato, la versione di The Devil, You + Me che ho ascoltato è presente solo nella mia mente e dunque è frutto della mia immaginazione, per cui non so nulla di come sarà realmente il disco.

A proposito di Notwist, il loro sito internet dice qualcosa a riguardo di una data in luglio a Ferrara sotto le stelle. La voce girava da tempo ed ora anche il sito del festival conferma, ma a questo punto non so se crederci davvero. Ho addirittura il sospetto che la mia mente abbia immaginato anche una cosa del genere.
I Notwist gratis a due passi da casa posso averli solo sognati. Ad ogni modo però io ci sarò, staremo poi a vedere che succede.

LIBERACI DAI COMMIES (e dai cantanti intonati)

Dire che ultimamente il nuovo sindaco di Roma Gianni Alemanno è molto preoccupato è un eufemismo. È un uomo che sa che lo aspetta una grossa responsabilità, sa che deve far bene perché chi lo ha sostenuto e votato si aspetta molto da lui, è consapevole che al primo errore rischia di essere lapidato (in senso figurato, ovviamente), ma soprattutto è consapevole che quando Artisti del calibro di Jerry Calà chiamano lui deve rispondere, e quindi dovrà agire di conseguenza se vorrà evitare ogni tipo di rischio.

Ed ecco quindi da dove viene la storiella di Alemanno che afferma che la Festa del Cinema di Roma l'è tutta sbagliata, l'è tutta da rifare perché non è pensata per i “film italiani, prodotti in Italia” e nemmeno “per promuovere la nostra cinematografia, non le star di Hollywood”. Ecco che Alemanno vuole meno Clooney, De Niro e più attori italiani invitati alla kermesse, per promuoverli e renderli grandi nel mondo. Il cinema italiano è notoriamente schierato a sinistra (lo prova l'ostracismo di cui è stato per anni vittima un talento purosangue come Luca Barbareschi, la cui unica colpa era essere di destra e che per poter lavorare in santa pace ha dovuto candidarsi alle ultime elezioni e farsi eleggere) e quindi promuovendo il cinema italiano il buon Gianni corre il serio pericolo di fare un grande favore all'avversario, garantendogli visibilità e volti noti da poter spendere a livello elettorale. E ciò non è bene.

Per Alemanno quindi sarebbe meglio puntare sulla musica. Un mondo sicuro in cui non vi è traccia di bolscevichi e in cui non occorre aver grandi cose da dire, basta solo trovare un ritornello efficace, un produttore con mani esperte e discografici con tanti agganci, ed il resto vien da sé. E quindi, folle oceaniche, tour galattici, fama in continua crescita e soprattutto tanta, tanta visibilità. In poche parole, cercare di promuovere cantanti e gruppi italiani rappresenta per la tanto bistrattata (almeno all'estero) destra italiana l'occasione ideale per farsi conoscere in positivo anche al di fuori dei nostri confini.

Tanto per dire, all'estero esiste un festival a cui purtroppo gli artisti italiani non partecipano da anni. Un festival che, teoricamente esisterebbe anche in Italia, ma che è totalmente boicottato dagli artisti italiani (che lo giudicano un evento poco appetibile dal punto di vista commerciale), e soprattutto dalla tv di stato e dalle tv private, e dunque non esiste (perché ormai in Italia tutto ruota intorno alla tv e al suo sottobosco), talmente kitsch che al confronto il Festival Sanremo è la fiera del buon gusto. Una megakermesse di grandissimo prestigio che risponde al roboante nome di Eurofestival.

Il nome Eurofestival evoca ricordi lontani, ricordi di sigle dell'Eurovisione, inizi di trasmissione ad orari decenti, colori scintillanti, scenografie impossibili, canzoni imbarazzanti, grandi conduzioni a cura di Ettore Andenna. Una volta partecipare all'Eurofestival era considerano un onore, ma mentre all'estero è ancora un grande evento, da noi purtroppo non se lo fila più nessuno. L'Italia infatti non partecipa a questa rassegna dal 1997 (anno in cui i mai troppo rimpianti Jalisse su classificarono quarti con Fiumi di parole) e non vince addirittura dal 1990 (anno in cui Toto Cutugno detronizzò la concorrenza con la memorabile Insieme 1992). Quest'anno c'è niente popò di meno che Paolo Meneguzzi, ma corre sotto le insegne della Svizzera e quindi non conta. Il regolamento è parecchio contorto ma varrebbe la pena partecipare, anche solo per confrontarsi con superstar del calibro dei macedoni Tamara,Vrčak e Adrian, dei croati Kraljevi Ulice &75 Cents, dei lettoni Pirates Of The Sea (combo nel quale ad onor del vero milita l'italianissimo Roberto Meloni, e quindi dobbiamo essere tutti orgogliosi di essere nel nostro piccolo rappresentati da uno come lui), dei tamarrissimi finlandesi Teräsbetoni e dell'incredibile spagnolo Rodolfo Chikilicuatre (il vero favorito con la sua trascinante “Baila el chicki chiki”, una tormentone che in un mondo migliore sarebbe in testa alle classifiche di tutto il mondo). Sembra incredibile ma per non farsi mancare nulla all'Eurofestival gareggiano pure un pupazzo (l'irlandese Dustin The Turkey) ed un musicista alternative (il bravo songwriter francese Sebastien Tellier, che a dire il vero mi chiedo cosa c'entri questa manifestazione). E comunque il resto dei partecipanti non è da meno, e sono sicuro che, se solo ci fosse la possibilità di vederlo anche da noi, ci sarebbe parecchio da divertirsi.

In definitiva, l'Eurofestival è un festival di tutto rispetto, che meriterebbe maggior attenzione da parte del nostro paese. Invece di pensare alla Festa del Cinema (che va bene così com'è), se Alemanno volesse partire subito con il piede giusto dovrebbe impegnarsi a garantire più visibilità all'Eurofestival, magari proponendo in un qualche modo di organizzare la prossima edizione a Roma e, soprattutto, stimolando i giovani talenti a darci dentro per emergere a tutti i costi e partecipare a questo favoloso festival. In Italia di potenziali fenomeni da baraccone ce ne sono in abbondanza (basta dare un'occhiata a programmi come X Factor e Amici), bisogna solo trovare quello giusto per poter puntare alla vittoria – perché ad un certo punto l'importante diventa vincere, non partecipare. A tale scopo si potrebbero addirittura tenere apposite gare di selezione e, perché no, costruire attorno a queste l'ennesimo reality show con l'ennesimo manipolo di vecchie glorie a giudicare le aspiranti superstar. Sarebbe fantastico, una vera occasione di riscatto per questo nostro povero paese messo in ginocchio da due interminabili anni di dittatura comunista.
Alemanno con l'Eurofestival ha la possibilità di entrare nella storia come il vero salvatore della patria, spero che ne approfitti e riporti nel nostro paese la buona musica. Ce lo deve.

(Giornalettismo)

15 maggio 2008

NON È UNA GOMMA, NON È UNA CARAMELLA, MA ALLORA CHE COS'È? RUTELLI!

“Per tre anni ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria per consegnare a Romano Prodi un centrosinistra capace di vincere.” Si, hai tirato la carretta. A France', statte tranquillo. Mettiti comodo, sorseggiati il Baileys e guardati un case porno che tanto di tempo per riflettere ora ne hai in abbondanza.


Che fine ha fatto Francesco Rutelli? È misteriosamente sparito, ed un pochino io ne sento la mancanza. Purtroppo non si hanno più notizie di lui da ormai oltre due (tre? quattro?) settimane, cioè da quando è definitivamente terminata la bagarre elettorale ed è apparso chiaro e limpido che dal punto di vista politico Rutelli è virtualmente finito, talmente alla frutta che d'ora in avanti per stare al passo con i tempi bisognerà chiamarlo “Frutelli”, o, volendo essere ancora più precisi e rispettosi della tradizione linguistica italiana, “Fruttelli”.

Chiunque altro a Roma avrebbe vinto in carrozza al primo turno, ma lui è riuscito nella non facile impresa di perdere (e pure rovinosamente) al ballottaggio, consegnando la città in mano a forze politiche reazionarie che in un paese normale difficilmente troverebbero così ampio asilo politico (ma, se per questo, difficilmente in un paese normale un qualsiasi politico potrebbe, a seconda delle convenienze, trasformarsi in tutto e nel contrario di tutto continuando a rimanere saldamente sulla cresta dell'onda, per cui non mi stupisco più di nulla di nulla e me ne sto tranquillo – che tanto siamo in Italia, paese dove tutto cambia per non cambiare niente). Pur di vincere Fruttelli, ormai da anni totalmente genuflesso alle gerarchie vaticane, ha cercato addirittura il voto di Sinistra Critica, ma non è servito a nulla. Era impensabile che l'estrema sinistra potesse votare uno del genere, e quindi il tonfo è stato pesantissimo, con un eco che da Roma è arrivato fino alla mia modesta dimora.

Ed ora è psicodramma, e non si sa bene come andrà a finire. Nel Partito Democratico è stato relegato ad un ruolo di secondo (o terzo) piano, e per uno come lui, notoriamente abituato ai ruoli di comando, deve essere molto dura. Di farsi da parte ritirandosi a vita privata non se ne parla, e quindi si può ipotizzare un suo futuro passaggio armi e bagagli all'Udc di quell'altro gran furbone di Pierferdi Casini, ma per ora nulla lascia intravedere spiragli in tal senso – anche perché non so quanto Pierfurbi sia propenso a cedergli lo scettro del partito. Resta il fatto che si è dato fin troppo spazio a gente come Fruttelli e (soprattutto) come i teodem, bellissima gente che ha goduto di grande visibilità ma poi in termine in termini di voti reali non ha portato un granché (anzi, ho addirittura il drammatico sospetto di aver portato più voti io facendo una umile consegna di materiale porta a porta che una Binetti qualsiasi). A livello mediatico è passato (o hanno fatto passare) il messaggio che il Pd era un partito totalmente appiattito sulle loro posizioni (quando in realtà questi fintodem erano una componente davvero minoritaria), ma paradossalmente la tanto famigerata conquista dell'elettore di centro non c'è stata. Bisognerebbe dunque trarne le conseguenze, ma chi sono io per dire una cosa del genere? Di certo non Fruttelli.
Ad ogni modo ricordiamolo così. Se lo merita.

12 maggio 2008

SIAMO TUTTI IN FILA INDIANA / CHE SIMPATICA CAROVANA

Si sono vissuti momenti drammatici sabato scorso a Che tempo che fa, il mite programma televisivo dell'altrettanto mite Fabio Fazio. Uno degli ospiti della puntata era Marco Travaglio - ed è subito bufera, una bufera che va tutt'ora avanti e che non accenna a placarsi.

Oggetto dell'aspra contesa sono i giudizi al vetriolo che Travaglio ha osato lanciare riguardo a Renato Schifani, Presidente del Senato nonché uomo brillante e di grande simpatia. Muffe, lombrichi, accuse di collusioni con la mafia, Fazio che vede un'intera carriera svanire in un lampo, occhi pallati, Travaglio che ride con grande cinismo, clima di tensione, il pubblico a casa è paralizzato, terrore in studio, io che rido parecchio, Fazio che si scusa con molta umiltà, lingue felpate, polemiche che iniziano un minuto dopo la fine della trasmissione, condanne da destra e manca, Di Pietro no. In poche parole: guai in vista per Travaglio, e molto probabilmente anche per il povero Fazio, vittima inconsapevole di una situazione molto più grande di lui.

Che possa piacere o no, che possa stare antipatico o no, Travaglio si è limitato ad esporre fatti concreti e verificabili. Punto e basta. Ha fatto il suo mestiere di cronista e come tale va rispettato. Mancava il contraddittorio? Chiedere a Vittorio Feltri, Giuliano Ferrara, Filippo Facci, Renato Farina e agli altri campioni della libera informazione il significato esatto del termine “contraddittorio”, e si capirà bene che in un caso come questo non era strettamente necessario un contradditorio. È stato un linciaggio? Passare nelle sedi di Libero, Il Giornale, & co. e citofonare Telekom Serbia: basta chiedere il significato del termine “linciaggio” e si capirà che Travaglio non ha linciato proprio nessuno. Aggressione politica orchestrata, benzina sul fuoco, attacco unilaterale diffamatorio, aggressione? Neanche per sogno. Mica Travaglio ha istituito un'altra Commissione Mitrokhin o qualcosa di simile. Ha soltanto esercitato un suo sacrosanto diritto: il diritto di cronaca. Qualcosa di cui in Italia purtroppo si stanno perdendo le tracce.
Marco Travaglio è una sostanza psicotropa. Narco Travaglio.
parte uno
parte due
parte tre

10 maggio 2008

IL PICCOLO GRANDE MAGO DEI VIDEOGAMES

I Battles sono una truffa, e la gente fortunatamente non se ne è ancora resa conto. Se per caso qualcuno dovesse accorgersene sarebbe la fine. Stanno fregando tutti, e magari in questo momento loro se la stanno pure ridendo alla faccia di chi riesce nell'impresa di divertirsi e ballare ai loro concerti. Fanno le cose a caso, mentre suonano sembrano non seguire nessuna logica sensata, eppure piacciono a tutti e la gente è visibilmente felice mentre li ascolta. Misteri della fede (e delle mode).
I Battles sono una bellissima truffa del quale io sono stato vittima mercoledì sera all'Estragon. Meraviglia pura che ti fa uscire dal locale felice e soddisfatto, roba che ti ripaga del coraggio di aver osato la trasferta bolognese infrasettimanale (con tutto ciò che ne consegue il giorno dopo), menti superiori che destrutturano quanto hanno fatto sentire su disco fino a renderlo totalmente irriconoscibile – eppure ancor più bello di prima.
Dopo averli sentiti dal vivo nulla sarà più come prima: sul palco sono in quattro ma sembrano in quarantaquattro, ognuno è incurante di ciò che lo circonda e sembra suonare per conto proprio, ma alla fine tutto si incastra alla perfezione e ciò che ne risulta è estremamente concreto, palpabile. Qualcosa che esce dagli strumenti musicali e resta sospeso nell'aria, prende vita, si sviluppa, cambia continuamente forma, scompare, riappare, non si lascia prendere. Ragioni, cerchi di cambiarne i connotati a tuo piacimento, ti illudi di avercela fatta, ma poi ti rendi conto che è ancora lì, solo che ha un'altra faccia, un aspetto diverso. Riesci a raggiungerlo ma in men che non si dica lui è già da un'altra parte, intento ad inseguire un'idea che durerà solo lo spazio di un attimo, giusto il tempo di essere soppiantata da un'altra idea ancor più folle da mettere in atto. Chi si ferma è perduto, si rischia la sconfitta. E intanto la musica va, e nessuno la può fermare. Nessuno ci prova.
In pratica mentre ascoltavo i Battles suonare ho avuto lunghi, interminabili momenti in cui di fronte a me vedevo scendere i mattoni di Tetris, ed è stato un bellissimo gioco a cui la mia mente è onorata di aver potuto partecipare.

08 maggio 2008

L'ARMATA DELLE TENEBRE RIUNITA ALLA MIA FESTA

Mancano solo Dini e Capezzone e poi ci sono tutti, ma non si può pretendere tutto dalla vita.
In fondo cinque anni passano in fretta.

CHI HA INCASTRATO PAOLA E CHIARA?

Diverse sera fa, appena tornato da una intensa giornata di cottura a fuoco lento in spiaggia, ho acceso la tv per il mio consueto tuffo giornaliero nel mondo del trash televisivo – un fantastico mondo che, volente o nolente, è sempre in grado di regalare a tutti quanti attimi di gioia purissima. Mentre facevo zapping e mi rendevo conto che purtroppo su Mtv non c'era nessun programma tipo le esaltanti monografie sulla vita di Britney Spears et similia, mi sono soffermano un attimo su Raiuno ed ho avuto una folgorazione. L'ospite d'onore del fantasmagorico programma di Antonella Clerici era niente popò di meno che Max Pezzali in persona, e dopo aver visto una cosa del genere posso ragionevolmente affermare che nulla sarà più come prima.
Pezzali era imbarazzatissimo, duettava con bambini stonati e soffriva nel vedere un capolavoro immortale come Hanno ucciso l'Uomo Ragno rovinato in quella maniera. Qua e là un figurante obeso travestito da Uomo Ragno faceva capolino, e l'ilarità regnava sovrana. In poche parole, attimi indimenticabili, risate a crepapelle, divertimento per grandi e piccini, momenti di grande tv. Ma il punto è un altro. Il punto è che Max Pezzali ora ha il cranio rasato a zero, la barba lunghissima ed è lievitato in maniera preoccupante. Non solo ha recuperato tutti i chili persi grazie alla rigida dieta a cui si è sottoposto tempo fa, ma è ingrassato ulteriormente fino a raggiungere un peso che io stimo intorno ai 125 chilogrammi.
Non sono un medico e quindi posso anche sbagliare nella stima del peso, ma la sostanza rimane quella: Max Pezzali è in costante aumento e per ingrassare così oltre a Mauro Repetto deve essersi mangiato pure Paola e Chiara. Un vero buongustaio.
La scienza non è stata in grado di trovare un'altra spiegazione plausibile a tale prodigiosa crescita corporea, ma Pezzali ha da esserne ugualmente molto fiero. Non è da tutti raggiungere traguardi del genere, ma lui ce l'ha fatta ed è un vero fuoriclasse. Ha vinto lui.

05 maggio 2008

NON TROVI UN LAVORO FISSO IN ITALIA / MA BACI IL CROCIFISSO IN ITALIA

Il mio nuovo idolo musical-culturale di questi giorni di inizio maggio è indiscutibilmente Fabri Fibra, ed oltretutto la cosa non mi dispiace proprio per nulla. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto, ma ora ci sono dentro e non ci posso più far niente. Bugiardo.
E per la precisione Fabri Fibra è diventato il mio idolo totale grazie ad un pezzo come In Italia, grazie al coraggio di recuperare per un featuring un'artista come Gianna Nannini (che pareva alla frutta da almeno quindici anni – più o meno dai tempi del glorioso featuring con Jovanotti) e soprattutto grazie ad un testo che definire molto coraggioso è poco. Tanto per tagliare la testa al toro, Fabri è riuscito a dire in maniera ermetica-ma-nello-stesso-tempo-molto-diretta tutto quanto avrei sempre voluto dire io sul Belpaese, tanto che a volte mentre lo ascolto mi sorprendo addirittura a chiedermi se per caso quel testo sia stato in realtà scritto da me in persona, magari mentre mi trovavo in uno stato di semi incoscienza causata da abuso di frutta fritta caramellata.
Io l'ho sempre detto che Fabri Fibra non era uno stupido qualunque e che oltre all'apparenza c'era di più, molto di più! Io in fondo l'ho sempre difeso da chi diceva che era roba per ritardati! Ed ora è il momento della gloria, e lui non ha che da esserne fiero. Fabri è un ragazzo intelligente che fa la sua cosa senza preoccuparsi delle critiche, ha tante cose da dire, sa comunicare bene e sa prendersi poco sul serio ed essere autoironico. Ben vengano allora le agghiaccianti supermarchette a Trl con contorno di ragazzine urlanti che lanciano pupazzetti ed altro sul palco: non è poi tanto male se grazie a queste marchette il messaggio da comunicare riesce ad arrivare ad un pubblico più ampio possibile e riesce a rimanere in testa almeno a qualcuno dei giovani ascoltatori seduti davanti alla tv.
E ben vengano le denunce per vilipendio alla religione: se si viene denunciati in una città come la nerissima Latina (mi correggo, la nerissima Littoria) vuol dire che la strada intrapresa è quella giusta.
Respect.

02 maggio 2008

LA MIA VITA VIOLETTA

È ufficiale: il gruppo più sottovalutato di tutti i tempi sono i Test Icicles. L'ho deciso io qualche tempo fa, e non c'è alcun verso di farmi cambiare idea. Un solo disco, uscito nel disinteresse generale nel 2005, un album che è stato capito da tutti parecchio tempo dopo e che ha portato la band al giusto successo di critica soltanto dopo lo scioglimento.

La critica snob ha capito tutto precisamente giusto quando il nascente (e fantomatico) movimento musical-culturale new rave ha fatto sue tante intuizioni che i Test Icicles avevano avuto parecchio tempo prima, ed allora è corsa subito a recuperare For Screening Purpose Only, tessendone lodi postume dopo averlo allegramente stroncato ai tempi dell'uscita. Un disco talmente sovrabbondante e sopra le righe che al primo impatto aveva spaventato pure me che ho cattivo gusto da vendere, ma che poi mi ha letteralmente folgorato, imprigionandomi tra le sue trame così semplici eppure così complesse. Screamo, noise, hardcore (in qualunque senso si voglia interpretare questo termine) eurodance, scorie electro varie ed assortite, personalità da vendere, sprezzo del pericolo e di tutte le convenzioni completano il quadro. A volte sembrano in bilico tra farlo e non farlo ma poi decidono di rischiare e suonano talmente pacchiani da rasentare l'imbarazzante, ma un attimo prima di cadere nel precipizio del ridicolo si fermano e cambiano completamente le carte in tavola, già pronti a sviluppare un altro riff, a spingere sull'acceleratore, a sfogare un altro po' di rabbia sputandotela in faccia. Una band sfortunata, che non ha avuto neppure un briciolo del successo che avrebbe meritato. A modo loro i Test Icicles sono stati dei precursori, e non se li è filati nessuno. Succede.

Ed oggi, il geniale Dev ha deciso di essere campione alla velocità della luce, mentre gli altri due onesti carneadi stanno forse bruciando soldi al Residence Le Rose o più probabilmente si aggirano strafatti di keta in qualche discoteca londinese, come due simbolici Paul Smith e Michael Coby che hanno annusato per un attimo il successo senza assaporarlo mai realmente. Uno su mille ce la fa, loro non ce l'hanno fatta. Peccato.

IO INVECE TRA MENO DI UN ANNO SARÒ IN COPERTINA SU SORRISI E CANZONI TV

Anche se sono ignorante e a volte per comprenderlo devo ricorrere all'ausilio di un dizionario, mi sa tanto che a questo giro comprerò anche Blow Up.