Dunque, dove eravamo rimasti: ad progetto musicale divenuto famoso grazie al tam tam in rete, ad un disco che non si è rivelato niente di che ma almeno non era banale, ad un paio di concerti warm-up e all’annuncio del primo tour italiano de I Cani. L’affare si stava veramente ingrossando (la citazione dal film “Una pallottola spuntata” è del tutto voluta), ed oltretutto ci si sono messe parecchie date finite sold out con larghissimo anticipo a complicare di molto la cosa.
In pratica, non ci si capisce più nulla. Perché I Cani piace così tanto? È diventato una band vera e propria oppure è e rimane il progetto da cameretta di Niccolò Rutelli trasportato forzatamente in una dimensione live che non gli appartiene? È possibile affrontare un concerto intero con un repertorio della durata di trentacinque/quaranta minuti o bisogna per forza ricorrere ad espedienti alla Blink 182 (cazzeggio tra un brano e l’altro, corse sul posto, piegamenti, simulazioni di rumori corporali vari ed eventuali) per dilatare un po’ i tempi e raggiungere un minutaggio ritenuto accettabile dall’esigentissimo pubblico indie? Niccolò Rutelli continuerà a portare il sacchetto sulla testa o svelerà finalmente la propria identità all’esigentissimo pubblico indie? Niccolò Rutelli ci è o ci fa? È cantore disincantato di un universo che non gli appartiene o coi sguazza alla grande fingendo disincanto cantato? Posso capire qualcosa ugualmente anche se non so chi sia Wes Anderson perché l’unica Anderson che conosco è Pamela Anderson? Riusciranno i nostri eroi a rendere in maniera credibile la cover di “Con un deca”, – immortale classico degli 883 con il quale (a quanto si legge in giro) chiudono i concerti – oppure si tornerà a casa con la coda fra le gambe rimpiangendo i gemelli del gol Pezzali-Repetto? Quali qualità deve possedere un gruppo/progetto musicale per essere considerato generazionale? Si capirà qualcosa nella bolgia del sold out oppure bisognerà andare ad intuito, cercando disperatamente di captare qualche brandello della musica che viene suonata, una parvenza di idea che ricordi ciò che è possibile sentire su disco, una frase, una sensazione, qualcosa di sinistra, qualcosa?
Ed è con questo stato d’animo che mi sono recato al Covo di Bologna per sentirmi questi famigerati Cani e capire, capirmi, capirli. Incappucciato come un black bloc ma con indosso la maglietta nera di Ondarock ho assistito all’intero spettacolo, e devo dire che è stato godibile. Nulla per cui strapparsi i capelli, però canzoni che se prese a piccole dosi sanno regalare discrete soddisfazioni; quarantacinque minuti di concerto per un progetto del genere son lunghi da reggere e ad un certo punto ho addirittura iniziato a cercare idealmente (ed insistentemente) il mousepad per guardare filmati su YouTube, scaricare musica, scrivere cazzate random, leggere news che un minuto dopo sono già vecchie (insomma, tutta quella gamma di cose fanno di solito mentre si ascolta musica da una botta e via), ma il problema non è stato solo mio visto che il pubblico de I Cani ha degnato di attenzione solo “Post Punk”, “Velleità”, “I pariolini di diciott’anni” e le altre megahit mentre ha parlottato e rumoreggiato per il resto dell’esibizione (per non parlare poi del vergognoso trattamento riservato agli ottimi Winston McNamara che aprivano la serata, un bignami degli anni novanta che non è stato praticamente degnato della benché minima attenzione da nessuno – solo frizzi e lazzi in attesa dei Cani. Peccato perché son bravi davvero, vorrei sentire parlare ancora di loro). I Cani dal vivo sono una band vera ed hanno un ottimo tiro, si perde (per fortuna) quel impasto lo-fi di suoni Fruity di fortuna che caratterizzava il loro sorprendente esordio in favore di maggior pulizia, maggior chiarezza, maggior incisività. Niccolò Cani sembra Luca Laurenti perché quando parla tra un brano e l’altro non si capisce nulla ed invece quando canta sembra un’altra persona/un’altra voce, tiene bene il palco, non è simpaticissimo ma sa far bene il suo mestiere (mica è lì per fare il clown, no? Magari è solo timido). Parla di quella fascia di età che va dai diciannove ai venticinque come nessuno fa oggi (nessuno ci prova), o meglio parla di quella fascia di età che in tasca ha la grana e si annoia perché non sa come spenderla ed allora cerca disperatamente di mostrare al mondo le proprie velleità, che oggi sono queste e domani probabilmente saranno altre perché le cose attualmente cambiano da un giorno all’altro. Mica Niccolò Cani è per forza così, però di questo parla la sua musica e per questo piace così tanto alla gente di cui parla (e questa manco se ne rende conto, genius). Probabilmente sta pigliando per il culo tutti, me compreso. Probabilmente mi sto pigliando per il culo da solo.
E la cover degli 883? È stata un momento talmente basso da sembrare altissimo, ma ci stava per capire a fondo come in questi ultimi vent’anni i tempi son cambiati come se gli anni trascorsi fossero quaranta e non venti. Dureranno o no I Cani? Se sapranno rinnovarsi e se Niccolò C. saprà variare un po’ le tematiche dei suoi testi sì, altrimenti verranno relegati al ruolo di piccolo fenomeno contemporaneo durato una sola stagione poi caduto nel dimenticatoio per raggiunta anzianità di servizio. Tipo Il Genio, solo che Il Genio almeno veniva suonato negli stacchetti del programma calcistico di Simona Ace Ventura, l’acchiappa animali.
(IFB)
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