25 novembre 2011

Un disco da ascoltare a tranci / una recensione da leggere a tranci, nel tempo libero: Silvio Berlusconi & Mariano Apicella – Il vero amore

Un lavoro destinato a far parlare di sé, a generare scissioni e discussioni animate manco fossimo ad un congresso di un qualsiasi partito italiano di estrema sinistra, ma che verrà consegnato inevitabilmente ai fasti della storia, e non solo perché Berlusconi sta a Mariano Apicella come il famigerato ombrello alla macchina da cucire (tanto per citare Umberto Smaila quando conduceva Colpo Grosso su Italia 7 ideato da Paolo Romani,che guarda caso era uomo di Berlusconi divenuto poi ministro). Parlare di Il vero amore significa accantonare l'idea di "semplice" concept per entrare in un universo narrativo preciso, che lega un maledetto della letteratura come Pino Bava Beccaria dei Ragazzi Italiani all'estetica cinematografica di Jerry Calà, a quella "nuova oggettività" da cui Mel Brooks (il personaggio al quale Ezio Greggio ha per un certo periodo disperatamente cercato di somigliare, almeno dal punto di vista artistico - meno male che non ce l'ha fatta altrimenti eravamo fottuti) è emersa come prima vera femme fatale di celluloide (ah no,era Brooke Shields e non Mel Brooks. Non fa nulla, tanto rileggendomi non ci capisco ugualmente un cazzo quindi passiamo oltre).

In pratica, “Il vero amore” è un disco dove Berlusconi fa il Mogol e Mariano il Battisti (che in questo momento si starà rivoltando nella tomba per questo ardito paragone, poveretto – ma tanto è una frase che ho copiato e dunque non è colpa mia, o magari la frase parlava di Cesare Battisti e non di Lucio Batttisti), undici canzoni composte negli ultimi due anni, quando la crisi non c'era perché bastava negarne l'esistenza in televisione e si andava a mignotte invece di lavorare per risolvere la crisi. Una discesa nell'abisso del desiderio e della dannazione che Apicella ha rimodellato in musica per la riduzione teatrale di Cesare Ragazzi, e che ha voluto condividere con Silvio Berlusconi con una sola idea in testa (un'idea meravigliosa, così come diceva lo stesso Cesare Ragazzi prima di fallire tristemente): creare qualcosa di assolutamente non convenzionale, spontaneo e anarchico. Una miscela che mette in primo piano la natura proteiforme del rock, nella quale convergono avanguardia, metal e poesia, in cui il songwriting monocorde e drammatico di Apicella non si limita a dialogare con l'impeto e la violenza di Berlusconi e soci (e dunque, con Putin, Confalonieri, Piersilvio Berlusconi, Gheddafi, Ben Ali, Mubarak, Ruby Rubacuori, Domenico Scilipoti, Pato, Pato Aguilera, calcolo renale, fistola anale, blocco intestinale, vaglia postale), ma riesce ad operare a più livelli una serie di scambi spiazzanti, trovandosi a suo agio persino su ritmiche rallentate e limacciose alla Augusto Martelli. Un'azione sinergica che se nei primi brani sembra andare avanti per compartimenti stagni a partire da “Pompin' Blood” (novella “European Son” heavy, con tanto di intermezzo caotico dal sapore di improvvisazione gang bang) diviene qualcosa di sempre più coeso, senza rinunciare per questo alla sperimentazione. Così, se “Stay With Me” ci appare come un reading trash declamato su una base degna di The Four Horsemen, “Cascasse il mondo” sembra spingere Apicella a misurarsi con le atmosfere di “Songs For Drella” (l'ipnotico ritornello « Cascasse il mondo/ Tu non saprai mai/ Che sei la gioia di tutta la mia vita/ Cascasse il mondo/Tu non t’accorgerai/ Che sto morendo /Quando non ci sei» sembra quasi trasportarti in un'altra dimensione, ma sul finire la composizione si lancia in un'ulteriore “cavalcata” a rotta di rullante, di rutti, di peti e di altri rumori provenienti dal corpo umano e vieni bruscamente riportato alla realtà, semplicemente favoloso. A chi rivolge la sua invocazione il Cavaliere? Alla ex-moglie? A una delle tante giovani che ha frequentato? Alla poltrona di Palazzo Chigi? Non lo sapremo probabilmente mai, cascasse il mondo), mentre un discorso a parte merita “Junior Papi”, suite di oltre 19 minuti in cui troviamo la Ruby di “The End”, rifrazioni ambient, echi dei Pooh e una splendida chitarra alla Gigi D'Alessio, oltre alla già citata linea sabbathiana che ci sta come il cacio sui maccheroni (o come il cazzo sui maccheroni, che tanto è uguale ustioni a parte).

La copertina è semplice, ma con colori vistosi, giallo e verde. Probabilmente ci sono pure messaggi subliminali di varia natura e specie, ma non ne sono poi così sicuro. Il disegno rappresenta un uomo e una donna seduti su una panchina, lui con il braccio sulle spalle di lei. Sullo sfondo un albero e due piccoli cani, che sembrano baciarsi ma soprattutto sembrano cani ma non lo sono, essendo in realtà due uomini intenti a fare i voyeur. Il titolo non consente equivoci: "Il vero amore", niente di meno e niente di più – e dunque i due cani della copertina in realtà non sono cani, non si scappa. Silvio Berlusconi e Mariano Apicella sono la coppia reale della canzone italiana, probabilmente sono i due cani della copertina o forse I Cani, l'ex-premier ed il suo musicista e cantante preferito (che è Apicella, non I Cani). Il disco era atteso da tempo, l'uscita era stata annunciata per settembre, poi era stata spostata ad ottobre, e infine è arrivato a novembre, oggi, ieri, domani (tanto i dischi in rete si trovano già prima dell'uscita ufficiale, dunque non si sa mai quando escono davvero e si deve fare a forfait per stabilire una data). E meno male che è uscito. Ci fermiamo qui, anche perché quando si arriva a perdere tempo per descrivere la copertina di un disco vuol dire che non c'è davvero più nulla da dire.

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