Piccolo bignami sul personaggio: Luca Carboni nasce a Bologna, cresce e si afferma come cantautore generazionale. Attraversa alla grande gli anni ottanta (all’epoca era talmente star che poteva benissimo presentarsi in canotta + pelo ascellare in bella vista a Fantastico e nessuno aveva nulla da ridire, nemmeno la solitamente rigida Raffaella Carrà) e buona parte degli anni novanta, poi ha una naturale e fisiologica diminuzione del grado di successo riscosso presso il grande pubblico che però non corrisponde ad un altrettanto fisiologico calo della qualità della sua musica. Non riempirà più gli stadi o i palazzetti dello sport, però Luca Carboni continua a fare musica e continua ad avere tante cose da dire (e – per inciso – lo fa ancora parecchio bene).
E Luca Carboni in questo 2011, a quasi trent’anni dagli esordi, se ne esce con un disco opportunamente intitolato “Senza titolo”, un’opera che lascia parlare soprattutto la musica ed altro non è che il suo sguardo rivolto ai tempi che stiamo vivendo, riflettendo sul passato ma nello stesso tempo sperando in un futuro in un futuro migliore. C’è tanta elettronica in bassa battuta nelle sue nuove composizioni e tutto è ridotto all’osso, a mero accompagnamento per la sua roca e peculiare voce che colma degnamente i vuoti regalando grande calore al tutto. Le sue speranze tradite – o forse quelle di un’intera generazione di ragazzi che erano giovani negli anni ottanta e con la musica credevano di cambiare il mondo – in “Riccione – Alexanderplatz”, la giocosità del primo singolo “Fare le valigie” (una cosuccia non banale che sembra quasi Samuele Bersani che suona i Kraftwerk, bisognerebbe amarla solo perché si apre con un verso del calibro di “Mi piacciono i tuoi occhi rossi col flash, riascoltare un vecchio disco dei Clash”), il suo intimo ricordo del padre nella toccante “Senza strade”, l’ironica “Cazzo che bello l’amore” (ottimo e divertente cazzeggio che mi ha fatto addirittura venire in mente la misconosciuta “Mi piace” dell’italo-meteora mid-90’s Leandro Barsotti, superstar dei programmi tv di Red Ronnie), la didascalica “Provincia d’Italia” (mentre l’ascolti ti sembra davvero di viverla e respirarla questa provincia, specie quella emiliana con le sue strade perennemente immerse nella nebbia) rendono quest’opera il classico disco che non ti aspetteresti mai da un artista che è in giro da così tanto tempo.
Onore e merito all’Uomo Carboni dunque. Saranno ormai trent’anni che è in giro, però uscendo con un disco del genere in tempi come questi dimostra più voglia di rischiare e di mettersi in gioco di tanta altra gente che attualmente è ben più celebrata e/o ricordata con affetto dal grande pubblico. Bravo.
(IFB)
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