Dire che ultimamente il nuovo sindaco di Roma Gianni Alemanno è molto preoccupato è un eufemismo. È un uomo che sa che lo aspetta una grossa responsabilità, sa che deve far bene perché chi lo ha sostenuto e votato si aspetta molto da lui, è consapevole che al primo errore rischia di essere lapidato (in senso figurato, ovviamente), ma soprattutto è consapevole che quando Artisti del calibro di Jerry Calà chiamano lui deve rispondere, e quindi dovrà agire di conseguenza se vorrà evitare ogni tipo di rischio.
Ed ecco quindi da dove viene la storiella di Alemanno che afferma che la Festa del Cinema di Roma l'è tutta sbagliata, l'è tutta da rifare perché non è pensata per i “film italiani, prodotti in Italia” e nemmeno “per promuovere la nostra cinematografia, non le star di Hollywood”. Ecco che Alemanno vuole meno Clooney, De Niro e più attori italiani invitati alla kermesse, per promuoverli e renderli grandi nel mondo. Il cinema italiano è notoriamente schierato a sinistra (lo prova l'ostracismo di cui è stato per anni vittima un talento purosangue come Luca Barbareschi, la cui unica colpa era essere di destra e che per poter lavorare in santa pace ha dovuto candidarsi alle ultime elezioni e farsi eleggere) e quindi promuovendo il cinema italiano il buon Gianni corre il serio pericolo di fare un grande favore all'avversario, garantendogli visibilità e volti noti da poter spendere a livello elettorale. E ciò non è bene.
Per Alemanno quindi sarebbe meglio puntare sulla musica. Un mondo sicuro in cui non vi è traccia di bolscevichi e in cui non occorre aver grandi cose da dire, basta solo trovare un ritornello efficace, un produttore con mani esperte e discografici con tanti agganci, ed il resto vien da sé. E quindi, folle oceaniche, tour galattici, fama in continua crescita e soprattutto tanta, tanta visibilità. In poche parole, cercare di promuovere cantanti e gruppi italiani rappresenta per la tanto bistrattata (almeno all'estero) destra italiana l'occasione ideale per farsi conoscere in positivo anche al di fuori dei nostri confini.
Tanto per dire, all'estero esiste un festival a cui purtroppo gli artisti italiani non partecipano da anni. Un festival che, teoricamente esisterebbe anche in Italia, ma che è totalmente boicottato dagli artisti italiani (che lo giudicano un evento poco appetibile dal punto di vista commerciale), e soprattutto dalla tv di stato e dalle tv private, e dunque non esiste (perché ormai in Italia tutto ruota intorno alla tv e al suo sottobosco), talmente kitsch che al confronto il Festival Sanremo è la fiera del buon gusto. Una megakermesse di grandissimo prestigio che risponde al roboante nome di Eurofestival.
Il nome Eurofestival evoca ricordi lontani, ricordi di sigle dell'Eurovisione, inizi di trasmissione ad orari decenti, colori scintillanti, scenografie impossibili, canzoni imbarazzanti, grandi conduzioni a cura di Ettore Andenna. Una volta partecipare all'Eurofestival era considerano un onore, ma mentre all'estero è ancora un grande evento, da noi purtroppo non se lo fila più nessuno. L'Italia infatti non partecipa a questa rassegna dal 1997 (anno in cui i mai troppo rimpianti Jalisse su classificarono quarti con Fiumi di parole) e non vince addirittura dal 1990 (anno in cui Toto Cutugno detronizzò la concorrenza con la memorabile Insieme 1992). Quest'anno c'è niente popò di meno che Paolo Meneguzzi, ma corre sotto le insegne della Svizzera e quindi non conta. Il regolamento è parecchio contorto ma varrebbe la pena partecipare, anche solo per confrontarsi con superstar del calibro dei macedoni Tamara,Vrčak e Adrian, dei croati Kraljevi Ulice &75 Cents, dei lettoni Pirates Of The Sea (combo nel quale ad onor del vero milita l'italianissimo Roberto Meloni, e quindi dobbiamo essere tutti orgogliosi di essere nel nostro piccolo rappresentati da uno come lui), dei tamarrissimi finlandesi Teräsbetoni e dell'incredibile spagnolo Rodolfo Chikilicuatre (il vero favorito con la sua trascinante “Baila el chicki chiki”, una tormentone che in un mondo migliore sarebbe in testa alle classifiche di tutto il mondo). Sembra incredibile ma per non farsi mancare nulla all'Eurofestival gareggiano pure un pupazzo (l'irlandese Dustin The Turkey) ed un musicista alternative (il bravo songwriter francese Sebastien Tellier, che a dire il vero mi chiedo cosa c'entri questa manifestazione). E comunque il resto dei partecipanti non è da meno, e sono sicuro che, se solo ci fosse la possibilità di vederlo anche da noi, ci sarebbe parecchio da divertirsi.
In definitiva, l'Eurofestival è un festival di tutto rispetto, che meriterebbe maggior attenzione da parte del nostro paese. Invece di pensare alla Festa del Cinema (che va bene così com'è), se Alemanno volesse partire subito con il piede giusto dovrebbe impegnarsi a garantire più visibilità all'Eurofestival, magari proponendo in un qualche modo di organizzare la prossima edizione a Roma e, soprattutto, stimolando i giovani talenti a darci dentro per emergere a tutti i costi e partecipare a questo favoloso festival. In Italia di potenziali fenomeni da baraccone ce ne sono in abbondanza (basta dare un'occhiata a programmi come X Factor e Amici), bisogna solo trovare quello giusto per poter puntare alla vittoria – perché ad un certo punto l'importante diventa vincere, non partecipare. A tale scopo si potrebbero addirittura tenere apposite gare di selezione e, perché no, costruire attorno a queste l'ennesimo reality show con l'ennesimo manipolo di vecchie glorie a giudicare le aspiranti superstar. Sarebbe fantastico, una vera occasione di riscatto per questo nostro povero paese messo in ginocchio da due interminabili anni di dittatura comunista.
Alemanno con l'Eurofestival ha la possibilità di entrare nella storia come il vero salvatore della patria, spero che ne approfitti e riporti nel nostro paese la buona musica. Ce lo deve.
(Giornalettismo)
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