21 maggio 2011

È arrivato Weah e Baresi è di nuovo papà: Africa Hitech – 93 Million Miles (Warp)

Non ricordavo più chi fosse Ruud Gullit e mi è tornato in mente solo quando ho letto dell'arresto di suo figlio Saverio Gullit per spaccio di droga. Può la mente di un uomo rimuovere dal proprio archivio personaggi del genere? Eppure Gullit è stato un grande calciatore del Milan dei primi scudetti berlusconiani ed è pure il padre di uno dei figli neri di Franco Baresi (la leggenda metropolitana dice così, non so se sia vero sul serio ma preferisco credere che lo sia. Magari per la legge del contrappasso Saverio Gullit è figlio di Baresi, chissà), come è possibile non ricordarsene? Capisco non sapere che Gullit ora allena una squadra in Cecenia, ma ricordarsi di lui perché suo figlio si fa beccare mentre vende il fumo proprio no. Deve essere perché non ho mai tifato Milan.

Ci pensavo un paio di giorni fa, quando guardavo una serie di vecchi video degli East 17 (misconosciuta boyband anni novanta, quella che all'apice del successo si è giocata tutto perché il cantante ha dichiarato che ogni sabato notte si faceva dodici pasticche ecstasy e guidava tranquillamente per tornare a casa) e mi rendevo conto che all'epoca si vestivano come certi studenti fuorisede proto-altermondisti che oggi si vedono in giro per il capoluogo di regione emiliano-romagnolo (che per la cronaca attualmente è Bologna), baggy pants, camicioni e felpe extralarge con i colori della Giamaica compresi. Come facevano gli East 17 a vestirsi così ed apparire fighissimi agli occhi delle teenager? Come facevo io a non ricordarmi che si vestivano così? Non lo so, ma ad occhio e croce deve valere lo stesso discorso che ho fatto per Gullit: non ho mai tifato Milan ed ho rimosso questi piccoli, divertenti particolari dalla mia mente e dalla mia vita. Succede.

Comunque, vedendo i video delle megahit East 17 e vedendo i video in cui annunciavano la loro reunion mi son reso conto che il tempo è stato davvero ingrato con loro. Si son conservati parecchio male e sembrano passati quarant'anni: Tony Mortimer è gonfio che sembra un pandoro, Brian Harvey ha i denti marci ed ha due occhiaie che non ti dico (deve essere stato tutto l'ecstasy per cui a suo tempo lo cacciarono dalla band, o magari il fatto che è uno dei pochi al mondo che ha tentato di suicidarsi lanciandosi dall'auto mentre la stava guidando a bassissima velocità. Più probabilmente guidava strafatto come ai bei tempi, è scivolato e deve ancora ristabilirsi), gli altri due un po' meno ma non han mai contato nulla nell'immagine della band dunque non fanno testo. I Take That, tanto per citare i loro acerrimi rivali dell'epoca, al loro confronto sono degli atleti olimpici (a parte Robbie Williams che è anche lui gonfio come un pandoro, ma dimagrirà giusto in tempo per il prossimo tour). Il tempo è stato molto più clemente con Gullit, che non ha più i dread ma resta un distinto signore capace di colpi da maestro sia in campo che fuori (e si ritorna alla leggenda metropolitana del presunto figlio nero di Baresi). Chissà perché suo figlio Saverio spacciava fumo pur essendo figlio di un ex calciatore e dunque piuttosto benestante? Ma siamo proprio sicuri che si chiami davvero Saverio il figlio di Ruud Gullit? E siamo sicuri che fosse proprio fumo quello dentro alla busta che ha cercato di vendere ad un poliziotto in borghese e non una copia di un disco che scotta perché dentro c'è roba che se l'ascolti eccessivamente svieni?

Tutto questo per arrivare a dire che 93 Million Miles degli Africa Hitech è un disco fighissimo. L'Africa si sente ma non troppo, giusto quel tanto che ti porta a pensare che un disco del genere sia la proiezione esatta di come i bianchi londinesi vedono l'Africa e di come successivamente filtrano questa proiezione mentale attraverso una sorta di distorsione spazio-temporale dovuta all'abuso di sostanze chimiche varie ed assortite. Dubstep ma non solo, arriva forse fuori tempo massimo per salire sul carro dei vincitori ma è un disco che rischia ben più dei soliti fantocci dubstep che negli ultimi due anni hanno pubblicato dischi tutti uguali ed intercambiabili e pertanto vince alla grande la sfida. E poi è uno dei dischi più tamarri ed eccessivi che io abbia sentito negli ultimi cinque anni ed in più – cosa da non sottovalutare – recupera dai sepolcri della storia degli anni novanta Ini Kamoze, che io pensavo avesse fatto solo Here Comes The Hotstepper ed invece ha continuato a fare altro anche se il grande pubblico non se lo è più filato manco per scherzo (almeno in Italia). Magari il figlio di Gullit invece ha continuato a filarselo, ed i risultati si son visti alla grande.

(Bastonate)

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