Per capire bene la portata emotiva e socio-culturale di un disco del genere devi avere come minimo ventotto anni, ma volendo anche se ne hai qualcuno in meno puoi arrivarci – devi solo sforzarti un po' di più ed il gioco è fatto. Scherzi a parte, “Mezze Stagioni” degli Ex-Otago è un disco importante con il quale in molti un giorno o l'altro dovrebbero trovarsi a fare i conti (se solo il mondo fosse un posto migliore, ma che te lo dico a fare).
Importante perché autoprodotto grazie ad una interessante operazione di finanziamento su base volontaria (del tipo, azionariato popolare: ci offri un contributo e noi ti regaliamo una copia esclusiva del disco, una citazione nei crediti dello stesso, una maglietta che ti ricorda che anche tu sei il produttore e parecchie altre cose belle – mica male come idea), importante perché è il più maturo dal punto di vista musicale per il combo genovese (che ormai suona come l'anello di congiunzione tra i Phoenix e i Kings Of Convenience e quando lo ascolti ti lascia eternamente sospeso nel limbo dell'adolescenza) ed è una autentica bomba pop che ti entra nel cervello e ti ritrovi a canticchiarla quando meno te lo aspetti (quando meno te lo aspetti come una bomba, tanto per citare altri eterni adolescenti sospesi nel limbo della mia adolescenza come gli Otierre), importante perché con un po' di fortuna potrebbe incontrare anche i favori del grande pubblico e dare un po' più di notorietà agli Ex-Otago, ma soprattutto importante perché ha testi che se hai più di ventotto anni ti scavano dentro e ti devastano - facendoti piangere oppure ridere a seconda dei casi e delle circostanze della vita – proprio perché parlano di te o comunque di persone che stanno vicino a te (in questo caso se hai meno di ventotto anni ma ti stai sforzando come dicevo all'inizio del pezzo).
E così gli Ex-Otago di “Mezze stagioni” parlano di noi (plurale impersonale, ma anche no), noi che inseguiamo ad ogni costo il nostro edonismo e mettiamo davanti a tutto gli aspetti materiali della nostra vita (“Figli degli hamburger”), noi che abbiamo paura di invecchiare ed allora proviamo a tutti i costi a fare i giovani anche a costo di rasentare il ridicolo (“Una vita col riporto”), noi che di punto in bianco abbandoniamo tutto perché la misura è colma e ce ne andiamo altrove (“Costarica”), noi che pur di guadagnarci da vivere ci accontentiamo di fare cose che non ci piacciono o che non sappiamo fare (“Gli Ex-Otago e la Jaguar gialla”), noi che ci ricordiamo bene della prima apparizione degli 883 (praticamente gli Happy Mondays italiani) al Karaoke presentato da un Fiorello in botta come non mai ma proviamo un tantino di vergogna a parlarne in pubblico, noi che ci ricordiamo bene anche che Corrado Guzzanti (nelle vesti del metallaro romano Lorenzo) è stata l'ultima persona in assoluto ad abbracciare Kurt Cobain durante l'ultima apparizione tv della sua tormentata vita, noi che ci siamo stancati di essere felici per forza ma comunque vada prendiamo la vita con distaccata ironia (più o meno tutto il resto del disco).
Solo l'intera discografia della Paolino Paperino Band e - in misura minore - “La fabbrica di plastica” di Gianluca Grignani e “Così Com'è” degli Articolo 31 hanno avuto testi in cui mi sono riconosciuto così tanto. Solo che è oggi, non il 1996.
1 commento:
Santo cielo, io ho 28 anni! :-(
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