E a proposito di Lùnapop, la vera notizia del momento è che il funambolico Ballo (ex bassista del mai troppo rimpianto supergruppo bolognese ed attuale bassista della backing band di Cesarone Cremonini, l'unico ed autentico Syd Barrett italiano) ha tagliato i suoi famigerati dreadlocks ed ora sfodera una chierica che non ti aspetti, quella tipica di chi ha vissuto una vita spericolata ma ora si è totalmente redento. Visto con i miei occhi pochi giorni fa a Trl (dove tra l'altro ha dovuto sopportare gli sfottò di Carlo Pastore – che con un cinismo che ha del mostruoso ha espresso al povero Ballo la speranza che i suoi capelli possano un bel dì ricrescere - roba da scatenare una rissa in puro Bud Spencer & Terence Hill style), con il nuovo look Ballo fa quasi tenerezza e sembra un pulcino, ma ne guadagna in freschezza e simpatia. Ha avuto il coraggio di non nascondersi dietro ad un parrucchino o ad un trapianto di capelli posticci, ed io non posso che apprezzare incondizionatamente. Un grande uomo oltre che un grande artista, un personaggio che con il mio idolo Cesare Cremonini va a formare una coppia rocciosa, di una solidità pari solo a quella della accoppiata Vialli-Mancini ai tempi della Sampdoria campione d'Italia, 1991 circa. E non importa se Cremonini è sempre più ingombrante (credo che il suo peso attuale superi abbondantemente il quintale) e suona canzoni sempre uguali scritte da chissà chi, l'unica cosa veramente importante è che Ballo e Cesarone siano sempre ospiti in tv a regalare al pubblico comodamente seduto in poltrona preziosi minuti di delirante ilarità assoluta. Due veri fuoriclasse, un patrimonio prezioso da conservare con cura. Il passato, il presente ed il futuro della musica leggera italiana passano anche (e soprattutto) da loro.
30 giugno 2008
IO BALLO DA SOLO
E a proposito di Lùnapop, la vera notizia del momento è che il funambolico Ballo (ex bassista del mai troppo rimpianto supergruppo bolognese ed attuale bassista della backing band di Cesarone Cremonini, l'unico ed autentico Syd Barrett italiano) ha tagliato i suoi famigerati dreadlocks ed ora sfodera una chierica che non ti aspetti, quella tipica di chi ha vissuto una vita spericolata ma ora si è totalmente redento. Visto con i miei occhi pochi giorni fa a Trl (dove tra l'altro ha dovuto sopportare gli sfottò di Carlo Pastore – che con un cinismo che ha del mostruoso ha espresso al povero Ballo la speranza che i suoi capelli possano un bel dì ricrescere - roba da scatenare una rissa in puro Bud Spencer & Terence Hill style), con il nuovo look Ballo fa quasi tenerezza e sembra un pulcino, ma ne guadagna in freschezza e simpatia. Ha avuto il coraggio di non nascondersi dietro ad un parrucchino o ad un trapianto di capelli posticci, ed io non posso che apprezzare incondizionatamente. Un grande uomo oltre che un grande artista, un personaggio che con il mio idolo Cesare Cremonini va a formare una coppia rocciosa, di una solidità pari solo a quella della accoppiata Vialli-Mancini ai tempi della Sampdoria campione d'Italia, 1991 circa. E non importa se Cremonini è sempre più ingombrante (credo che il suo peso attuale superi abbondantemente il quintale) e suona canzoni sempre uguali scritte da chissà chi, l'unica cosa veramente importante è che Ballo e Cesarone siano sempre ospiti in tv a regalare al pubblico comodamente seduto in poltrona preziosi minuti di delirante ilarità assoluta. Due veri fuoriclasse, un patrimonio prezioso da conservare con cura. Il passato, il presente ed il futuro della musica leggera italiana passano anche (e soprattutto) da loro.
¡CAMPEONES!

29 giugno 2008
IL CELLULARE CE L'HO GIÀ SPENTO / PERCHÉ PER ME SEI TROPPO SBATTIMENTO

26 giugno 2008
È PRATICAMENTE OVVIO CHE ESISTANO ALTRE FORME DI VITA

Il Dari sono fantastici, non ho mai sentito nulla di più geniale. Che poi a quanto pare si chiamano Dari e sono un gruppo che prende il nome dal proprio leader (che per l'appunto si chiama Dari e si muove quasi come Alberto Camerini), ma non fa nulla. L'importante è crederci, l'importante è volare via. E loro suonano musica per volare via ed andarsene lontano, sempre più lontano, laddove nulla potrà fermare il loro grande sogno (che poi è anche quello dei loro accanitissimi fan). Nemmeno la Magistratura Rossa, l'opposizione giustizialista, Zapatero, i cinesi o le tasse.
Come Cesare Ragazzi i Dari hanno in testa un'idea meravigliosa, ma la mettono in pratica in un modo totalmente diverso da quello scelto dal loro benemerito maestro: invece di trapiantare capelli suonano qualcosa che finissimi critici definiscono EMOTRONIK, una sorta di pasticcio che mette insieme l'emominkia dei My Chemical Romance, gli incredibili capelli unti del cantante dei Finley, linee vocali alla Lunapòp, un sublime tarocco della musica da autoscontri ed il meglio del meglio dei ruggenti anni ottanta. Roba forte, roba che scotta ed è in grado di portare i ragazzi sulla cattiva strada, roba che neanche il Moby più in botta ha mai avuto il coraggio di suonare. Roba che dovresti vergognarti ad ascoltare il mio rap, come dice il sommo poeta Metal Carter, ma però loro sono ancor più poetici ed usano le maiuscole al posto delle minuscole e le W al posto delle V, e sono pure modesti perché giustificano questo vero e proprio colpo di genio dicendo che è merito della tastiera del loro pc che si è guastata e non ha permesso loro di digitare i caratteri giusti.
Tutti li criticano ma qualche mosca bianca li ha anche apprezzati, visto che sono stati finalisti ad Arezzo Wave ed ora sono da tutti considerati la next big thing del rock italiano (anzi, il drizzone del rock italiano). Sono convinto che tempo un paio di mesi ed infiammeranno i prestigiosi palchi del Festivalbar, ma intanto per ora si accontentano di infiammare le tv e le radio di regime con la loro fantasmagorica megahit Wale (tanto Wale), un vero tormentone che ti entra nel cervello e non ne esce più. Incardinarsi nelle sinapsi dell'ascoltatore con versi profondi e commoventi come “e allora dimmi Wale che cosa Wale Wale / il cellulare ce l'ho già spento perché per me sei troppo sbattimento” e “terza volta che ti chiedo e non ci stai / se Wale non mi vuoi / io mi faccio i ca**i miei / ti dico “Wale..vaccagare!” non è un'impresa da tutti, ma i Dari hanno lo spessore e certe cose possono permettersele. Sono grandissimi, e sfido io qualcuno ad affermare il contrario.
E mentre Grignani ci sta lentamente abbandonando e sta diventando sempre più il Mick Hucknall italiano (nel senso che è talmente ingrassato che nei suoi video è costretto ad utilizzare il famigerato e temutissimo effetto Mick Hucknall per camuffare il proprio cattivo stato di forma), ci restano solo i Dari. Anzi i dARI, che fa più dEUS e quindi offende l'orgoglio dei soliti indie snob, ma anche di certa critica musicale di sinistra che poi perdiamo le elezioni e Di Pietro fa opposizione vera e noi no.
I Dari sono un patrimonio da salvare ed io lotterò per salvarli dalle critiche, in prima persona e con tutte le mie forze. Praticamente, il potenziale gruppo preferito dei giovani che compaiono nel video di Menomale che Silvio c'è e che fecero pure da figuranti nelle varie trasmissioni tv in cui il globetrotter di Arcore intepretò la parte del comiziante ai tempi della scorsa campagna elettorale.
Siam campioni del mondo.
25 giugno 2008
IL MASTINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE

23 giugno 2008
SE HO VINTO / SE HO PERSO

I problemi reali del Paese (intercettazioni, rifiuti, immigrazione clandestina, disoccupazione, petrolieri, banche, calvizie, senilità precoce, nanismo) sono stati prontamente risolti dal sempre più liberale governo attualmente in carica, ma mancava solo una vittoria in grado di gratificare il popolo italiano. E non una inutile come quella ai Mondiali di due anni fa (inutile solo perché ottenuta grazie ad un colpo di fortuna di Romano Prodi, ma inutile anche perché non è stata in grado di risolvere i problemi reali del Paese), ma una vittoria vera, in grado di infiammare i cuori e di fare vedere di che pasta siamo fatti. E visto che l'Europa ha bisogno di un drizzone, quale occasione migliore di una vittoria agli Europei per dimostrare a tutti quei parrucconi che l'Italia è l'unica capace di raddrizzare il Vecchio Continente?
Occasione prontamente raccolta da una nazionale che ha dovuto superare mille insidie e mille ostacoli prima di arrivare in finale e battere la temutissima Inghilterra, guidata da quell'implacabile bomber di razza che risponde al nome di David Mills e che tanti grattacapi ha creato alla nostra difesa. Ma poi abbiamo stretto i denti ed anche lui è stato fermato, e noi ce l'abbiamo fatta. Grandi individualità, grande gioco, combattività e sicurezza nei propri mezzi: il risultato è che l'Italia ha vinto a dispetto di ogni pronostico iniziale ed ora è festa, festa fino al mattino e nessuno la potrà fermare.
E non importa se il resto dell'Europa calcistica tirerà fuori di nuovo la storia della furbuzia e dell'opportunismo tipici degli italiani, dell'emergenza democratica, dello scarso pluralismo nell'ambito dell'emittenza televisiva o delle simulazioni in area da rigore: è tutta invidia, lasciamoli rosicare. Abbiamo il sole in tasca e siamo i migliori anche a livello internazionale, non pensiamo a ciò che dicono di noi.
Il funambolo Cassano (schierato finalmente tra i titolari dopo un inspiegabile boicottaggio iniziale, forse opera dei soliti giornalisti sportivi rossi), Franco Califano, il kaiser Franco Baresi, lo stopper Schifani, il portiere-saracinesca Boia chi molla Buffon, il fantasista Brunetta, l'oriundo Roberto Calderoli, l'infallibile bomber Luca Toni: sono questi i nostri assi nella manica, sono stati loro a dare il contributo decisivo alla vittoria finale. Sono loro i nostri eroi, dobbiamo esserne solo fieri e festeggiare. Senza vergogna alcuna.
VOGLIO SOLO FUTURI INVEROSIMILI

19 giugno 2008
EVERYBODY WANTS TO BE SOMEBODY

Ferrara è una bella città ed un gran posto per viverci. C'è il sole, c'è il mare, c'è la nebbia anche d'estate, ci sono ben due gigantesche scritte Coop e soprattutto c'è una mentalità aperta e non provinciale, che porta la gente ad accostarsi alle cose nuove e diverse con curiosità mista a voglia di scoprire. Praticamente, la maggior parte dei gggiovani ferraresi se starà in spiaggia a sorseggiare comodamente un aperitivo (o più aperitivi, a seconda dei casi) nei bagni più in dei Lidi Ferraresi e quindi snobberà Ferrara Sotto Le Stelle. Peccato per loro.
Ma in fondo poi chi se ne frega della provenienza. L'importante è che ci sia la gente giusta e ci si diverta, del ferrarese medio non me ne importa nulla. Anzi, mi fotte sega (come diceva il compianto Joe Cassano). Io ci sarò, perché mi interessa la musica e mi interessa ascoltarmela in santa pace senza gente che innalzi stendardi e striscioni vari come fossimo ad una puntata di Trl (e si torna sempre a Carlo Pastore, forse perché sono un Carlo Pastore wannabe – ma in fondo chiunque desidera essere qualcun'altro, e quindi non devo preoccuparmi troppo), o senza gente che critichi a prescindere come faccio io. Poi il resto non conta.
Tutto il resto è game over, come disse qualche anno il sempre giovane conservative punk Ringo. Conta solo il fatto che io mi possa vedere seduto in giardino cose molto interessanti come Franz Ferdinand, Interpol, dEUS, Raconteurs, Hercules and Love Affair, Notwist, Le Luci della Centrale Elettrica, Cat Power, Toumani Diabatè, i Distretto 51 feat. Bobo Maroni (che da buon fautore del gioco di squadra viene solamente per cacciare dall'Italia Toumani Diabatè, ma io glielo impedirò con tutte le mie forze), Davide Van De Sfroos (suo malgrado eletto cantore della nuova classe operaia padana pur essendo di sinistra), La banda del trucido, Giuliano Ferrara (il cantore della vecchia classe dirigente italiana ed americana, uomo dalle mille bandiere e soltanto per caso omonimo della città sede del festival), Vittorio Sgarbi (che invece gioca in casa), Caetano Veloso, il mio avvocato Gaetano Pecorella, Giucas Casella, Daniele Capezzone (a cui rivolgo un sincero in bocca al lupo per la sua futura carriera politica) e Giorgione Zamuner.
17 giugno 2008
PROVA AD ESSER TU QUEL CHE NON SEI

Poche storie, La fabbrica di plastica è un disco clamoroso. Di quelli che ne esce uno ogni dieci anni e poi te ne ricordi a lungo, molto a lungo. Mai in Italia a livello mainstream si era sentita roba del genere, mai nessuno si era sognato di ripubblicare The Bends dei Radiohead con i testi in italiano ed un carico di paranoie ancor più doloroso dell'originale. Grignani ha successo ma se ne sbatte, sta male e vuole fartelo pesare. Ed ecco allora il tormento di un giovane che ha provato invano ad essere ciò che non è (la title track) e tenta ad affrontare i propri demoni (Il mio peggior nemico), acquisisce consapevolezza e si prende il lusso di condannare il bel mondo del rock e tutto ciò che ruota intorno alla sua galassia (Rokstar), di scrivere canzoni d'amore che suonano più come odi implicite all'uso di allucinogeni che come canzoni d'amore in senso stretto (+ famoso di Gesù, Testa sulla luna) e di raccontare nel dettaglio abusi chimici di vario tipo che ti consentono addirittura a vedere attrici che escono dallo schermo del cinema e ti portano via (L'allucinazione). Capolavoro.
Che poi all'epoca intorno a questo disco siano stati creati ad arte gossip e pettegolezzi vari (Grignani eroinomane, potenziale suicida, malato di Aids) e storielle buone solo per Tutto – musica e spettacolo (Grignani che va in Giamaica per ritrovarsi, ha la folgorazione e decide di farsi i dreadlocks, ma poi si pente, taglia i capelli in stile punk e li tinge di biondo) poco importa. Grignani era uno che si faceva intervistare da Baudo a Domenica In e farfugliava perché era in un palese stato confusionale, e anche solo per questo è da rispettare.
La fabbrica di plastica è stato un flop clamoroso e non se lo è cagato nessuno (tanto che sei mesi dopo l'uscita era già nel bancone dei cd nice price) ma il vero successo è esser figlio di se stesso e dunque quel disco è stato l'unico vero successo di Grignani. Un musicista che ha provato a fare quello che voleva, ha fallito completamente ma almeno ha riacquistato la propria autostima ed è tornato ad essere carne da dare in pasto alle belve feroci che popolano l'universo discografico italiano. Un musicista che ha capito che con certa roba in Italia non si campa ed è meglio fare marchetta, e che da quel momento è stato un po' più forte ed un po' meno solo.
Ciò non toglie che L'aiuola sia roba che meriterebbe di essere menzionata nelle Convenzioni di Ginevra , magari sotto una apposita voce denominata “torture più crudeli da infliggere ad un ragazzo in età post adolescenziale”.
13 giugno 2008
NO RAGE AGAINST THE CASH MACHINE

Per quanto mi riguarda, io non ci sarò per niente al mondo, e mai concerto fu mancato più volentieri. Nonostante i Ratm siano stati un gruppo molto importante per me e per la mia formazione cultural-musicale, giudico del tutto inutile (se non dannosa) questa reunion. Sono bolsi e datati (i loro progetti post-scioglimento stanno tutti lì a dimostrarlo – soprattutto il fantomatico disco solista di Zack De La Rocha), rischiano di sembrare tristi e patetici, infangando per sempre il ricordo del grande gruppo che furono. E dunque, che bisogno c'è di vederli in concerto? Ma soprattutto, che bisogno c'è di loro nel 2008? Perché hanno scelto di riformarsi?
Ci sono le presidenziali americane, ecco perché. C'è un altro po' di sana ribellione a buon mercato da spacciare, c'è la tigre dell'astensionismo da cavalcare, ed un altro po' di cash sonante da incassare sulla pelle di chi ci crede veramente. Il leit motiv resta sempre lo stesso: spremere le tasche dei giovani alternative americani (e di tutto il resto del mondo) finché si può, nascondendosi dietro il paravento di granitiche (e comodissime) scelte ideologiche. Anime candide a qualunque costo, meglio se quantificabile in migliaia e migliaia di dollari.
Passino i dischi sempre uguali (l'unico disco in cui hanno qualcosa di diverso fu una raccolta di cover, tanto per dire), passi per i riff di chitarra che il buon Morello ha spudoratamente rubato qua e là (a dire il vero facendoli propri con grande personalità), ma la battaglia contro il voto alle elezioni proprio no. Ecco, se c'è qualcosa che non perdonerò mai ai Rage Against The Machine è il loro essersi schierati per il non voto alle presidenziali americane del 2000 (quelle vinte da George W. Bush per una manciata di voti, peraltro in maniera assai dubbia), con tanto di campagne attive e video a tema per sostenere quella nobile causa. Una battaglia di cui non ho mai compreso bene il senso, una battaglia che me li ha fatti definitivamente cancellare dalla galleria dei gruppi preferiti.
Troppo facile fare di tutta un'erba un fascio e sparare nel mucchio. Si rischia pochissimo e molto spesso si guadagna parecchio, o quanto meno non si perde nulla perché chiunque vinca ci si potrà sempre lamentare a prescindere – atteggiamento che io sospetto sia mosso più dalla vanità personale che da un reale desiderio di voler cambiare le cose spazzando via l'esistente (ma questo è un altro discorso). Per tanto che potesse non piacere, per tanto che potesse apparire moscio e poco incisivo, Al Gore non era (e non è) la stessa cosa dell'intelligentissimo George W. Bush. Ed i Democratici non erano (ed a maggior ragione oggi non sono) la stessa cosa dei Repubblicani. La scelta sciagurata-ma-redditizia dei Rage Against The Machine (che magari ha finito per influenzare migliaia e migliaia di giovani americani) è imperdonabile perché potenzialmente può essere stato ciò che ha consegnato il paese a Bush. I Ratm pontificavano in maniera ossessiva di Bush ed Al Gore due facce della stessa medaglia, ma nel frattempo Al Gore ha vinto un Nobel, gli americani si sono dovuti ciucciare ben due mandati di Bush (con tutti gli annessi e connessi del caso) ed il gruppo è meritatamente scomparso, finendo mestamente nel dimenticatoio (luogo ove è stato catalogato fino al momento della reunion alla voce “ex grandi artisti che facevano le anime candide ma a fine mese incassavano tanti bei soldoni”) ma risorgendo praticamente ogni sabato sera in tutti i più derelitti rock club di provincia.
Ed ora i Rage Against The Machine ritornano, e non hanno intenzione di fare prigionieri. Sono praticamente certo che diranno qualcosa in merito alle prossime elezioni americane. Oserei addirittura dire che pronunceranno anche qualcosa contro il G8 e (new entry) a favore del Tibet libero e (ma qui la vedo più dura) della Birmania libera. Come al solito la musica passerà in secondo piano, ma io attendo ugualmente con ansia il loro concerto in Italia perché non vedo l'ora di farmi quattro risate leggendo cosa scriveranno su forum, blog et similia i loro fan duri e puri. Già mi immagino i “grande emozione”, “ci credono ancora, che coerenza!”, “i tatuaggi del bassista, ma come fanno a non scolorire mai?”, “Zack De La Rocha si muove ancora come un gatto nonostante sia ingrassato di venti chili”, “Morello che grande! Ho sempre pensato che fosse americano ma ho scoperto che è di Lecce come me!”. Attendo con impazienza, e spero che il giorno del concerto arrivi il più in fretta possibile. Ne vale davvero la pena, e per questo (ma solo per questo, che non si illudano troppo) ringrazio la band americana.
Musica che partiva come antagonista ma che ormai viene suonata anche alle sagre di paese e piace davvero a tutti quelli che si vogliono atteggiare anche solo un tantino a ribelli senza afferrarne il senso. Ecco cosa sono diventati i Ratm. Ma la loro coscienza è sempre pulitissima, sia chiaro.
LA VECCHIA GUARDIA NON TRADISCE MAI
Ci deve essere un legame tra le due cose, ma non sono in grado di darmi una spiegazione logica.
11 giugno 2008
IL BEL PAESE

Che la serata sarebbe stata negativa lo si è capito subito dall'agghiacciante divisa verde indossata dal portiere Gigi Buffon (a memoria d'uomo, una delle più brutte che siano mai state avvistate su un campo di calcio da almeno trent'anni a questa parte). L'Italia è riuscita a prendere gol pure da un tale che si chiama più o meno Wesley Snipes, e non ha fatto praticamente nulla di sensato per reagire.
Una nazionale che è l'emblema perfetto del nostro povero Paese, fatta di fighetti che reagiscono solo se vengono offesi, che giocano solo per il cash e che se vengono sostituiti dopo aver collezionato una figura barbina dietro l'altra hanno pure il coraggio di stupirsi (Materazzi, che ieri sera sembrava un difensore centrale della Spal ma quando lo hanno richiamato ha sgranato gli occhi per la perplessità). È il Paese del “non sono stato io”, del “c'è figa qui?” e del “Francia o Spagna basta che se magna” e lo si vede anche da piccole cose come queste, non si scappa.
A nulla è valso il tardivo ingresso in campo dell'immenso Antonio Cassano: troppo tardi, ormai la frittata era fatta e anche il suo genio puro non poteva più fare nulla. Negli spogliatoi avrà sicuramente sfasciato qualche porta e preso a schiaffi il massaggiatore per la rabbia, ma intanto in campo non ha potuto dimostrare il suo valore. Povero Cassano, lo boicottano perché gli altri suoi compagni sono belli e lui no. I soliti bolscevichi lo trattano come Calimero perché vogliono mettere i bastoni tra le ruote a chi come lui ha fatto tanti sacrifici per arrivare dov'è arrivato, i soliti invidiosi di chi i suoi soldi se li è sudati tutti. Ma si rifarà, ne sono sicuro. È forte, è maturo e soprattutto ha la necessaria stabilità mentale per farcela, dunque il futuro per lui e per la nazionale non può che essere in discesa. Basta crederci, ma intanto la rata è sempre alta e la tassa è sempre lì. I problemi reali del Paese non scompaiono di certo grazie ad un gol.
(feat. SimoMerli)
10 giugno 2008
E ADESSO DIRANNO "UN SALUTO AGLI AMICI DEL PODCAST"?

E via con la nostalgia dei bei tempi che furono, ma soprattutto della bella musica e dell'atmosfera che un tempo caratterizzava quel fantasmagorico programma. Ho le lacrime agli occhi, anche se purtroppo temo che non sarà più la stessa cosa. Non c’è più la dance maraglia di una volta, ma soprattutto non ci sono più l'ironia e la spensieratezza di un tempo. Dunque, che senso ha una reunion del genere?
Non oso immaginare come possa essere strutturata ora una trasmissione come il Deejay Time. Non riesco ad immaginarmi una trasmissione a base di Justice, Digitalism e compagnia danzante, ma non riesco nemmeno a vedere un Deejay Time a base di quella commerciale fredda e senza sentimento che impera su emittenti come m20 et similia. Manca QUELLA musica, che però era musica che andava trasmessa in quegli anni, non adesso che abbiamo fior fior di ministri come Calderoli e Gasparri.
E non riesco proprio a spiegarmi il perché della scelta di riprendere le trasmissioni. Non mi aspetto proprio nulla di buono e temo che tutto partirà in quarta per poi trasformarsi (visti i modesti ascolti) in un contenitore in cui verranno riprogrammate le vecchie megahit, per la gioia di chi soffre di nostalgia di quegli anni ruggenti e non riesce ad arrendersi al trascorrere del tempo.
Il rispetto per Albertino e la sua banda resta illimitato, però se il nuovo Deejay Time deve essere un semplice monumento alla musica da autoscontro meglio tenersi il ricordo della vecchia e gloriosa trasmissione.
E poi, a dire il vero, registrare i programmi radio servendosi delle cassettine non va più di moda. Che senso ha riprovarci?
08 giugno 2008
LO SFASCIO

E come ogni concorso musicale che si rispetti, alla fine della corsa X Factor ha decretato un vincitore. E che vincitore! Hanno trionfato i salentini Aram Quartet, un impossibile morphing tra i Neri per caso, Le Vibrazioni, i Queen ed i Cugini di campagna, sia dal punto di vista estetico che musicale. Un polpettone spaventoso, che ce l'ha messa tutta ed ha sempre mantenuto testa alta e sorriso sulle labbra, che ha dovuto superare prove durissime ma poi è arrivato fino in fondo e ce l'ha fatta, sbaragliando una agguerritissima concorrenza che non ha mollato fino alla fine. Applausi a scena aperta, dunque.
Di gruppi come gli Aram Quartet ce ne vorrebbero di più, molti di più. Soprattutto in un momento come questo, un momento in cui l'indie sta diventando il mainstream più totale e sta invadendo con le sue truppe corazzate Mtv, ma soprattutto un momento in cui Carlo Pastore, il profeta dell'indie italico, il personaggio televisivo sul quale ho deciso di impostare la mia vita, l'unico che è sempre rimasto autenticamente fedele alla linea, ha inopinatamente deciso di gettare la spugna e passare a condurre Trl. Un dramma dal quale sarà molto difficile uscire, uno stato di sfacelo avanzante la cui unica soluzione potrebbero proprio essere gli Aram Quartet. Sono bravi, sono bellocci, suonano un genere fresco e pressoché nuovo, hanno solo bisogno di meno snobismo da parte di una certa sinistra e di tanto, tanto sostegno. Nel tempo sapranno regalarci molte soddisfazioni, e sia benedetto X Factor che ha regalato loro un contratto discografico. Gli Aram Quartet saranno la salvezza dell'indie italiano, ne sono convinto. E credo che ne sia convinto anche il loro mentore Marco Castoldi alias Morgan dei Bluvertigo.
Da tutto questo bailamme, Morgan ne esce da gran signore. Più forte, più convinto, più maturo nel look e nell'animo. È stato talmente segnato da questa esperienza che ha finalmente deciso di riformare i Bluvertigo, un gruppo di cui in tanti sentivamo la mancanza. Un ritorno inaspettato, su cui io personalmente non avrei scommesso un euro. Come fossimo nel 1998 si riparte, con qualche capello grigio in più ma con le stesse canzoni di un tempo, i medesimi inni generazionali che in realtà per colpa del destino cinico e baro non sono mai riusciti a diventare tali. Che sia la volta buona? Ora Morgan è troppo vecchio per avere il sostegno di Mtv come ai bei tempi che furono, ma potrà contattare sull'appoggio degli altri due membri del trio del male di cui lui stesso faceva parte (Simona Ventura, Mara Maionchi), per cui le possibilità di successo sono alte. Basta crederci sempre e non arrendersi mai. Magari non arriverà a far breccia nel cuore delle nuove generazioni, ma almeno Morgan potrà riuscire a guadagnare un bel pacco di soldi facendo leva sui sentimenti della generazione dei trentenni nostalgici di certi anni novanta (e con i tempi che corrono non è cosa da poco) e se si deciderà a scrivere un album di inediti dei Bluvertigo potrebbe addirittura dare manforte agli Aram Quartet nel tentativo di salvare l'indie italiano dallo sfascio.
Tutto questo si può fare ed il traguardo è dietro l'angolo, a condizione però che si tenga conto del fatto che tra Bluvertigo e Aram Quartet non c'è paragone. Sono come il giorno e la notte. Meglio la pietanza fresca con ingredienti strani della minestra riscaldata più e più volte, che già all'epoca dimostrava chiaramente tutti i propri limiti. Ma tutto questo Morgan non lo sa. È troppo pieno di sé per saperlo.
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

06 giugno 2008
POMA NON POMA

La questione però è un'altra. La questione è che a quanto pare Sara Poma questo mese ha recensito un fake. Ha parlato di un disco che non è Narrow Stairs, ma un volgare tarocco d'autore. Di quelli belli ma pur sempre tarocchi. È bufera, ed ora le critiche a Rumore si sprecano.
Critiche del tutto immeritate, oserei dire. Ben ha fatto Rumore a pubblicare una cosa del genere e a renderla pure disco del mese, ma soprattutto ben fa Rumore a continuare a servirsi del prestigioso contributo della Poma. Il solo fatto di recensire un fake è una genialata, un vero e proprio gesto situazionista, un affronto alla mentalità indie snob che ormai impera anche nel nostro paese. Vuoi il disco che piacerà a tutti? Io te lo recensisco, ma faccio anche di più. Recensisco il tarocco e te lo sbatto in faccia, nuda e cruda realtà che a volte può far male ma che a me fa tanto bene. Magari è lo stesso che hai scaricato tu senza accorgerti che è un falso d'autore, ma intanto ti ho fregato e ti ho preso per i fondelli e rido alla tua faccia. Chi se ne frega delle prese per il culo che verranno?
Ci vorrebbero 10, 100, 1000 Sare Poma nel triste, triste mondo della critica musicale. Dopo questo gran gesto è già entrata nella galleria dei miei idoli dichiarati. C'è chi la chiama dilettante allo sbaraglio, io mi limito a chiamarla Sara Proma. Ma io sono quello che impennava con il Ciao, con la maglietta degli Squallor Arrapaho, quello che rimpiange la sella con le frange, la targa Arizona e la marmitta Proma, e dunque non faccio testo.
03 giugno 2008
AZZURRO È LIBERTÀ

Già. Trix e Flix. Festa del calcio. Stella del reggae. Proprio ciò di cui avevo bisogno io per trovare la forza di appassionarmi di nuovo al fantasmagorico mondo del giuoco del pallone. Che lo dicano chiaro e tondo che lo hanno fatto apposta, così almeno posso bullarmene un pochino con gli amici fidati al bar sotto casa. Così, tanto per fare il gaggio e vivere il mio bel quarto d'ora di celebrità.
Gli Europei in Austria e Svizzera saranno una tamarrata assurda, e sono certo che proprio per questo mi piaceranno un sacco. Non so nemmeno quali squadre giochino, ma in fondo chi se ne importa? Tanto la palla è sempre rotonda e l'erba è sempre verde. È l'evento in sé che merita di essere vissuto appieno, anche solo per il fatto che come mascotte ufficiali della competizione sono stati scelti due terrificanti mostriciattoli come Trix e Flix, un qualcosa che sta a metà strada tra il bambino della Kinder prima versione, Telespalla Bob e Claudio Baglioni (per l'armonia e la plasticità dei lineamenti). Solo in terra austro-elvetica potevano raggiungere un così alto picco di cattivo gusto, ed io che ho cattivo gusto da vendere non posso che apprezzare in maniera totale ed incondizionata.
Ma in fondo io non faccio testo. Tanto per dire, da piccolo ero solito indossare con orgoglio la maglietta con Ciao, il logo di Italia '90, però non posso che rallegrarmi della scelta di riesumare un autentico relitto degli anni novanta come Shaggy. Con tanti bravi e belli che c'erano in giro, hanno preso un reduce dalla prima guerra in Iraq che ha fatto il botto con un motivetto insignificante come Boombastic, è caduto nel dimenticatoio ma poi periodicamente si è presentato con canzoncine sempre più paracule, che servivano più come giustificazione per mostrare tette e culi nei relativi videoclip che altro. Non certo un simpaticone, dunque. Però il fatto che pur di rimanere a galla ed estorcere ancora qualche milionata di euro a discografici ed organizzatori di eventi vari abbia avuto la sua bella svolta in chiave musica da autoscontri lo renderà senz'altro il mio idolo di un'estate, anche solo per il fatto di aver avuto l'umiltà di provare ad adattarsi alle tradizioni musical-culturali tipiche dei luoghi in cui si svolgeranno i campionati. Una volta sentivo Boombastic e mi prendeva lo sconforto, mentre ora sento Like a Superstar e mi sento Albertino feat. Fargetta 1994 circa mentre al Deejay Time veniva programmato l'ennesimo, favoloso disco degli Snap.
So già che questi Europei mi piaceranno talmente tanto che tiferò Italia, giusto perché voglio essere nazionalpopolare fino in fondo ed uniformarmi alla massa. La nazionale è sempre la nazionale, e bisogna essere vicini agli azzurri in un momento del genere, un momento in cui finalmente abbiamo un governo liberale e democratico, la spazzatura è sparita, la xenofobia è un lontano ricordo e la gente ha soldi a palate e compra addirittura tutto ciò di cui non ha bisogno. Ci manca solo una nazionale vincente e poi abbiamo proprio tutto, e allora perché non crederci fino in fondo e gridare tutti in coro “Forza Italia!”? Bisognerebbe tifare nazionale (anzi, tifare alla nazionale) anche solo per il fatto che è stato convocato l'unico, vero, grande genio dell'odierno calcio italiano: Antonio Cassano, il vero miracolo italiano. Un eterno ragazzino che è un grande campione dentro ma soprattutto fuori dal campo, uno che ti risolve la partita con un colpo ma poi prende a legnate l'arbitro e si becca una squalifica di durata biblica: in poche parole uno che ogni volta che vedo certi suoi exploit mi chiedo di quale sostanza (non necessariamente illegale) stia a rota.
Nessun dubbio: Cassano, il Val Kilmer del calcio italiano, per le sue prodezze è divenuto nel tempo il mio idolo calcistico. A dire il vero non me ne importa nulla del calcio e nemmeno di vincere, ma so già che Cassano ci porterà alla vittoria. O almeno ci farà fare bella figura qualunque cosa combini. Uno del genere è un patrimonio da proteggere, e con lui si fa bella figura a prescindere. È l'amico del cuore ideale, e dunque per amicizia io scenderò in piazza a festeggiare il genio di Bari anche se le cose non dovessero andare bene. È il migliore ed un pochino lo invidio, anche solo per il fatto che Lucignono qualche tempo fa gli ha dedicato uno speciale. Certi onori toccano solo ai più grandi, ed un onore del genere uno come lui se lo merita tutto.
01 giugno 2008
VOLEVAMO ESSERE I VILLAGE PEOPLE

E che non ha nemmeno bisogno di indossare i calzini.