Ma andiamo con ordine. Di fronte ad un pubblico numeroso che non ti saresti mai aspettato hanno aperto il concerto gli italo-francesi Discofunken e la serata ha apparentemente preso una brutta piega. I Discofunken sono la reale dimostrazione di quanto i Justice abbiano (involontariamente) fatto male alla musica dance (o a certa dance): i soliti sintetizzatori distortissimi, i soliti beats secchi e perentori, il solito basso tamarr-funk d'accatto, il solito cantato che c'è e non c'è. Idee zero, voglia di rischiare ed innovare zero. I Justice erano in buona fede, questi qui no perché provano a seguirne la scia sperando di ripetere il colpo riuscito ai Bloody Betroots e fare un pochino di soldini, che certi vizi costano. Purtroppo per loro i Justice sono altro, e i Daft Punk del capolavoro disco-truffa Human After All sono e saranno sempre inarrivabili. Partono le basi e i Discofunken cazzeggiano, ogni tanto una chitarra o un basso fanno capolino, lo sparuto gruppo di quindicenni sembra gradire ma l'immagine che rimane nitida nella memoria è quella del beatmaker del duo che balla e si contorce a torso nudo finendo per somigliare ad un qualcosa che sta tra il Mr. Lui protagonista degli stacchetti che introducevano i cartoni animati sulle reti Mediaset e il sommo Mauro Repetto ballerino degli 883. Purtroppo oggi siamo nel 2009, ma servirebbe una moratoria sui progetti dance che cercano disperatamente suonare così.
E poi, Peaches. Nella band che l'accompagnava credo di aver riconosciuto suo marito Gonzales alla batteria, e solo per questo (ma anche per l'entrata sul palco accompagnata dalla sigla dell'A-Team) Peaches va rispettata. Se poi ci si mettono anche abbigliamenti impossibili, una presenza scenica come ultimamente se ne vedono poche (almeno a certi livelli), musica che riesce a coinvolgere anche il più scettico dei presenti (ovvero il sottoscritto), crowd surfing nel vero senso della parola, una finta caduta con conseguente finto infortunio e quando meno te l'aspetti relative pose alla Ozzy Osbourne con sangue che cola dalla bocca il concerto diventa uno di quelli da ricordare e la serata si risolleva all'istante. Peaches fa la sua cosa, continua a suonare la stessa roba senza voler scimmiottare nessuno o voler cavalcare l'onda, continua a lanciare i suoi (importanti) messaggi, continua a scegliere la provocazione come arma, e fa bene. È troppo vecchia Peaches per fare questo? Non si è mai troppo vecchi per essere se stessi. Aveva più senso vederla nel 2001? In parte sì, ma non è mai troppo tardi per scoprirla e comunque vale sempre la pena di vederla in concerto anche se i tempi son cambiati e l'electroclash è passato di moda (ma poi tanto lei se ne è sempre sbattuta delle mode e comunque in ambito electroclash è sempre stata considerata una delle seconde linee, dunque parlare di moda non ha troppo senso).
Magari il messaggio potrà sembrare trasmesso con meno convinzione di un tempo, ma è solo un'apparenza. E la musica resta sempre quel pasticcio kitsch senza vergogna che tanti sederi ha fatto muovere nel corso degli ultimi otto anni e che, se andiamo avanti così e soprattutto se le nuove leve si chiamano Discofunken, tanti ne farà muovere in futuro. Alla fine quello che conta davvero è questo, muovere il culo. Tutto il resto è game over.
Nessun commento:
Posta un commento