Ecco, Maria Antonietta è tutto questo o forse nulla. Posso dirlo perché ho ascoltato il suo disco d’esordio in anteprima esclusiva streaming su un sito di bella musica italiana che si chiama come un celeberrimo brano electro di Herbie Hancock, posso confermarlo perché ho letto i suoi testi in super anteprima esclusiva sullo stesso sito e mi è venuto il mal di mare perché la punteggiatura risultava non pervenuta (gli argomenti trattati, poi). New sensation del 2012 oppure clamoroso abbaglio? Ai posteri l’ardua sentenza. Per carità, diverse idee buone ci sono e sicuramente in futuro verranno sviluppate meglio perché Maria Antonietta ha buone potenzialità, ma intanto si fatica davvero ad arrivare sino alla fine del disco e questo è ciò che conta davvero (anche se ormai la musica odierna probabilmente conta poco perché dura poco meno di una stagione poi te ne dimentichi). Un power-pop piatto e monocorde che pesca a destra e a manca ma non arriva mai al dunque, addizionato a parecchio grunge all’ammorbidente di quello che girava in Italia quando il fenomeno stava ormai inesorabilmente svanendo e ad un cantato che spesso e volentieri finisce per ricordare una ipotetica Sabina Guzzanti che imita Moana Pozzi alzata di due ottave: in poche parole, un prodotto che visto che I Cani ha/hanno fatto il botto cerchiamo di farlo anche noi, magari con testi troppo milanesi per essere veri (a quanto mi risulta Milano non finisce a Porta Ticinese, ma chiederò informazioni a Red Ronnie e a Letizia Moratti) orientati ad un certo tipo di gioventù (bruciata e non) che è in grado di capirli molto più di quanto riesca a comprenderli io. Probabilmente perché non ho capito un cazzo della vita, direi.
Dodici anni fa musica del genere finiva giusto nel cd allegato a Rocksound ed era quella che regolarmente skippavi perché totalmente fuori luogo mentre ora in rete non si parla d’altro e probabilmente tra poco Maria Antonietta finirà pure per diventare famosa davvero: i tempi che stiamo vivendo sono quelli che sono, prendiamoli per buoni anche se così non è.
E, tanto per postare qualcosa a caso, il nuovo singolo de Il Teatro degli Orrori, forse una delle cose più brutte di tutti i tempi (almeno musicalmente parlando, del resto non so).
7 commenti:
Se il popolo indie ha fame dategli delle brioches.
Lo sai chi mi ricorda spaventosamente?
Un pezzo qualsiasi dei libertines, tipo in the libertines. Cantato da(i) cani al telefono.
Ma devo dire che non sono riuscito a finire la canzone. Forse il finale meritava.
@ anonimo: il popolo indie ultimamente si beve tutto. Colpa di Steve Jobs e degli mp3.
@ minkia mouse: vado a recuperarlo, ma non stento a crederci. Davvero, l'unica cosa bella della canzone è il finale - quando temina, intendo.
@accentosvedese, Ahahaha!!!
Sia chiaro, "the libertines" è il discomediocre della band.
Up the bracket, invece, è quasi un emozione continua!
ps: sono dell'idea che il popolo indie si è sempre bevuto di tutto. Bastava mettere un THE davanti ad un nome, e loro lo bevevano come una birra nei pub londinesi.
Io mi sento leggermente preso in giro. Avevo scritto con entusiasmo di Marie Antoinette (quando ancora cantava in inglese), questo album è una mazzata ai sentimenti. Il singolo, vabè, lasciamo perdere. Le altre canzoni sono leggermente più interessanti, ma comunque molto al di sotto delle aspettative. Peccato.
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