Diciamo la verità: ne è valsa assolutamente la pena di andare a lavorare il giorno dopo in condizioni pietose con un paio d'ore di sonno alle spalle
(con tutto il rispetto, una cosa del genere la si fa per un concerto irripetibile, non per gli I'm From Barcelona che ormai esistono solo all'Hana Bi e che sono già stati visti), e ne è valsa assolutamente la pena di comprare i biglietti con otto mesi d'anticipo ad un prezzo piuttosto salato. I Take That
a Milano hanno regalato uno spettacolo di quelli difficili da dimenticare, con un rientrante Robbie Williams più animale da palcoscenico che mai
(qualcuno mi dica il nome del suo pusher, Robbie era veramente troppo carico per essere vero), un cicciabomba Gary Barlow che si conferma grande cantante pop
(e – visto nel maxischermo – sulla nuca sfoggia una bella chierica, il che lo rende un po' più umano e decisamente più simpatico), un Mark Owen che si conferma grande cantante pop anche se le canzoni le scrive tutte Gary Barlow, un Jason Orange che ha imparato a cantare e balla ancora benissimo, un Howard Donald che ha imparato a cantare e balla ancora benissimo. Anche se probabilmente nella vita di tutti i giorni si odiano, sul palco sembravano quasi cinque amici che si ritrovano dopo tanto tempo e decidono di cantare i loro grandi successi degli esordi, i successi solisti di Williams, i successi dei Take That riuniti senza Williams, le canzoni di Progress composte dopo il rientro di Williams, un accenno di
West End Girls quasi a voler deridere i loro acerrimi rivali
East 17 che su questa
cover ci costruirono una carriera ed altre cose varie ed assortite
(ma sempre di un certo livello). Mancava solo
Child di Mark Owen solista e poi c'erano tutte. E poi le scenografie tutte incentrate sul tema dell'evoluzione, con continui rimandi ed allusioni al progresso tecnologico
(lo sponsor del tour Samsung ringrazia) con una specie di robot gigante che a fine concerto si alza in piedi e sembra voler uscire con la testa dal terzo anello di San Siro, quasi a voler vedere in anticipo il traffico che si congestionerà nelle vie adiacenti lo stadio facendo rimanere gli spettatori bloccati per un'ora dopo la fine del concerto. E poi il fuoco sul palco, che quando c'erano le fiammate si sentiva la vampata di calore anche a cinquanta metri di distanza. E poi i
Pet Shop Boys in carne ed ossa che hanno aperto il concerto ed hanno dimostrato che sono ancora enormi pur avendo superato da un pezzo i cinquanta ed avendo alle spalle trent'anni di carriera. E poi la gente del fan club che attaccava gli striscioni alle balaustre come se fossimo ancora nel 1993 e non ci fosse un domani. E poi le magliette taroccate in vendita fuori dai cancelli - ce n'era una in cui Robbie Williams da lontano era uguale in tutto e per tutto a
Brandon di Beverly Hills 90210 e da vicino era in uno stato di fattanza clamorosa, probabilmente fotografato nel periodo in cui diceva di avvistare ufo e cose così. E poi gli spettatori presenti, tutti mediamente molto brutti per un motivo che non riesco a spiegarmi.
Che piaccia o no, i Take That sono un pezzo della nostra storia e sono un fenomeno con cui bisogna fare ancora i conti anche oggi che siamo del 2011. L'ultimo disco Progress sta lì a dimostrarlo: se l'avesse fatto identico un qualsiasi gruppo indie fatto di gente magra e brutta a quest'ora le varie webzine griderebbero al miracolo (e se l'avessero fatto gli Zoot Woman a quest'ora si parlerebbe di grande ritorno degli Zoot Woman), l'hanno fatto i Take That ed allora fa schifo a prescindere oppure va ignorato. Ma che me ne frega a me, tanto i Take That con questo tour hanno guadagnato talmente tanti soldi che è assolutamente inutile che io stia a farmi delle pippe mentali se il loro disco non è considerato a dovere da certi ambienti musicali perché certi ambienti musicali hanno i paraocchi e preferiscono farsi le pippe per i pur ottimi Friendly Fires. Vorrei che il mio estratto conto a fine mese avesse lo stesso saldo di un membro a caso dei Take That (magari non Williams, che forse ha il saldo in rosso perché è spendaccione e non voglio poi trovarmi a dover pagare i suoi debiti).
2 commenti:
Che classe i Pet Shop Boys.
Mark Owen scrive una gran parte delle canzoni dei TT. Informati prima di dire che le scrive tutte Gary!!!!!!!!!!!
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