La stampa specializzata ultimamente a riguardo ci ha raccontato di tutto. Kele che vuol crescere. Vuole rinnovarsi, rinnovare la sua musica, rinnovare la sua Arte. Ha in testa dei progetti. Ha in testa un’idea meravigliosa. Sta facendo kick boxing. Sta sviluppando muscolatura. È tirato a lucido. Dichiara di essere omosessuale. Diventa un esempio. Apre un blog, anzi un fotolog. Fa tante foto, suda, sta lavorando al disco, ci crede ed è sicuro che verrà fuori una bella storia. Beato lui.
Le buone intenzioni c’erano tutte, è che Kele si prende un tantino troppo sul serio e la sua musica ne risente parecchio. È convinto di avere tante cose da dire ed è convinto di avere i mezzi per farlo da solo senza i suoi (vecchi) compagni di viaggio, però poi cade sul più bello sputando fuori un disco nato già vecchio perché non è basato su un’idea propria, un disco che prende scarti dei Bloc Party peggiori (per intenderci, quelli di “Intimacy”) e li appiccica a basi elettroniche scontate e francamente imbarazzanti.
Ed allora ecco che lo inserisci nell’apposita fessura ed il lettore cd spara fuori la fidget di “Walk Tall”, la drum ‘n bass fuori tempo massimo di “On The Lam”, la trance alla camomilla del singolo “Tenderoni”, i TV On The Radio copiati utilizzando un foglio di carta carbone di dubbia qualità di “The Other Side”, la “Idioteque” virata in chiave puramente democristiana di “Everything You Wanted”. Poi Kele vuol fare la parte di quello colto&profondo e si gioca il carico da novanta: gli archi pizzicati e il controcanto di voce femminile di “The New Rules”, ma a quel punto il lettore cd è stato già spento ed il cd è stato lasciato a prendere polvere perché lo strazio si era fatto insopportabile. L’unico sussulto di un disco da coma profondo è “Unholy Thoughts”, ma è un sussulto che dura troppo poco e soprattutto SONO i Bloc Party, chitarra-basso-batteria compresi. Il resto dell’opera è un mattone difficile da digerire, talmente difficile che non vale nemmeno la pena menzionarlo in questa sede.
Troppo poco per un disco che si proponeva come una svolta nettissima nella carriera del buon Kele, troppo poco per un personaggio che ci è stato contrabbandato come un nuovo Thom Yorke o (addirittura) un nuovo Bono Vox. Dispiace stroncarlo perché in fondo è un bravo e simpatico ragazzo, ma dischi noiosi e prevedibili come questo non meritano pietà alcuna.
Peccato, ci avevamo creduto. Ma per fortuna ci siamo accorti in fretta della sòla.
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