03 gennaio 2011

NEL DUBBIO MENA

Rimpiango parecchio i tempi in cui lavoravo quattro ore e le altre quattro mandavo in giro curricula, cercavo musica e giocavo a Pro Evolution Soccer. Guadagnavo due terzi di quello che guadagno adesso, non avevo contributi Inps versati però almeno ero lanciatissimo nel mondo dei colloqui di lavoro, mi tenevo aggiornatissimo sulle novità musicali ma soprattutto ho vinto quattro Champions League di fila con l'Ascoli. Un tempo ero un uomo migliore.

Lavorare stanca. Il lavoro nobilita l'uomo e lo rende simile ad una bestia, diceva un tale – e quel tale ha ragione. Se vincessi un sacco di soldi (tipo vittoria al Superenalotto dopo che nessuno indovina i numeri da sei o sette mesi) non lavorerei mai più e pretenderei che sulla mia carta d'identità alla voce occupazione venisse scritto “culattone raccomandato” o magari “agitatore culturale” (o magari farei finta di avere un lavoro giusto per non fare sapere alla gente della mia vincita e per non permettere al fisco italiano di tassarla del 70% circa), se potessi tornare indietro non inizierei mai a lavorare e farei il mantenuto a vita. O magari giunto ai diciotto anni sceglierei di frequentare una facoltà universitarie di quelle che se vuoi puoi farle durare a vita, tipo Sociologia o Scienze della comunicazione. Conviene sempre (anche se mi riuscirebbe meglio trasferendomi a Milano o a Bologna).

Se avessi avuto diciotto anni nel 1977 tra punk e disco music avrei scelto sicuramente la disco music. Avrei preso un sacco di schiaffoni e mi avrebbero chiamato fascista, ma almeno avrei evitato di fare la fine che hanno fatto Enrico Ruggeri, Jo Squillo e Red Ronnie, tre personaggi considerati all'unanimità i portabandiera dell'allora nascente movimento punk italiano e che sono oggi diventati più reazionari del re. Ho visto su Rai5 uno special sul punk '77 condotto da Enrico Ruggeri, una roba in cui tutti gli intervistati avevano i denti sfasciati o almeno erano gonfissimi. Lui faceva da narratore col tono di chi sta raccontando una favola ed era credibile come un giovane di famiglia ricca e borghese che annoiato ha scelto di darsi al punk perché andava di moda a Londra e partendo dal punk è arrivato a vincere il Festival di Sanremo un paio di volte. Avrei preferito Ringo, che all'epoca è stato punk e poi si è arruolato subito nella Folgore ma almeno fa ridere ed è ancora giovane e ben conservato (non so cosa darei per arrivare ai cinquanta in quello stato di forma, ma come farà mai Ringo a mantenersi così?), ed allora ho spento la tv e me ne sono andato a dormire sperando di sognare Enrico Ruggeri che parlando di punk e di Sid Vicious mi comunicava i sei numeri vincenti della prossima estrazione del Superenalotto. Ovviamente Ruggeri non mi ha comunicato nulla, però è stato divertente crederci e capire che il mio futuro è quello di conduttore di programmi rievocativi di un passato che non necessariamente ho vissuto sul serio. Con cose del genere ci si campa alla grande e non si deve nemmeno scrivere sulla carta d'identità che la propria occupazione è culattone raccomandato o agitatore culturale. E si può pure parlare di punk pur dicendo di preferire la disco music (o ancor meglio la musica da autoscontri, l'unica cosa davvero punk che si sia mai vista a livello mainstream negli anni novanta).



3 commenti:

A Inoki ha detto...

Giulia si Salvi chi può

Anonimo ha detto...

genio

Santy ha detto...

Prima di tutto, Arbeit macht frei. Secondo poi, chi mena per primo mena du' vorte.
Ciao, sono Santy, ma tu puoi chiamarmi co-co-co-contessa.