30 ottobre 2009

A TESTA ALTA

Facciamo un gioco: prendiamo un musicista qualsiasi del giro della Ed Banger (o, ancor meglio, della Dim Mak), e proviamo ad immaginare cosa ne sarà sarà di lui tra quindici anni e soprattutto cosa ne sarà della sua proposta musicale. Non occorre pensare troppo né tantomeno possedere particolari capacità divinatorie per immaginare l’ovvio: il musicista in questione finirà nel dimenticatoio, mentre la sua proposta musicale finirà nel cestino della spazzatura (nel vero senso del termine, visto che nessuno compra più dischi e basta un click per spostare nel cestino i files musicali ormai caduti in disuso). La storia li condannerà non menzionandoli nemmeno di striscio.

E proviamo ora ad analizzare la parabola artistica dei Basement Jaxx. Sono emersi più o meno quindici anni fa, son partiti rivoltando la musica house come un calzino e l’hanno amata, onorata e rispettata talmente tanto da contaminarla con batteri di varia natura e specie fino ad allora invisi ai puristi. Dj set infuocati, singoli ancora oggi oggetto di culto, remix entrati nella storia, e poi si passa al formato album e alle esibizioni dal vivo, come una vera band – per conquistare il mainstream dopo aver conquistato l’underground senza fare prigionieri. Due dischi memorabili (Rooty e Remedy - in poche parole, house music più radiofonica, più populista di quella degli esordi, ma sempre house music a livelli stellari), e poi una svolta pop di gran classe, per dimostrare che si sa andare oltre, che si possiede la giusta sensibilità per trattare anche materiale più ricercato rispetto ai tellurici esordi. In poche parole. i Basement Jaxx son partiti da Brixton alla conquista del mondo e quindici anni dopo solo ancora sulla cresta dell’onda.

Tra quindici anni nessuno di ricorderà più di carne da cannone come SebAstian o Bloody Beetroots, mentre quindici anni dopo i due ragazzi londinesi stanno ancora lì a dimostrare chi vale e chi no, chi è nella leggenda e chi è buono giusto per una stagione. Sarò poco cool ascoltarli e ballarli (e suonarli), avranno forse perso la carica eversiva di un tempo (non è vero, hanno solo deciso di focalizzarsi su aspetti diversi dell’eversione, non hanno perso un briciolo di carica), ma un disco come Scars è un disco di grande valore, forse il loro migliore da parecchi anni a questa parte. Non una caduta di tono, non un cedimento. Un disco da ascoltare dall’inizio alla fine, con la devozione che si deve a chi ha saputo dire qualcosa di nuovo, lo ha detto talmente bene da influenzare una intera generazione di produttori e riesce tuttora a dirlo.

Stile da vendere, featuring azzeccatissimi che non mettono in secondo piano il grande lavoro dei Basement Jaxx, produzione stellare: c’è tutto un mondo dentro a tracce come la MGMT-Mdma oriented Raindrops, la gothic sci-fiction track Scars, la toccante My Turn, la velenossima electro-ragga track Saga, un mondo che chiede a gran voce all’ascoltatore di entrare a farne parte. Ed una volta entrati uscirne diventa difficile, molto difficile.

(Indie For Bunnies)

3 commenti:

Sebastiano ha detto...

senza discussioni di un altro livello.

accento svedese ha detto...

Con i Daft Punk i più grandi di sempre, almeno in un certo ambito.

Mr. Bombetta ha detto...

E' con questo disco che mi sono reso conto del fatto che i singoli "tormentone" affiorati in TV una decina d'anni fa sono solo la punta del loro iceberg e che sott'acqua c'è tanto altro. Ci sono cose come i singoli, l'Atlantic Jaxx e soprattutto gli EP.

In tutti questi anni, si sono mossi dunque sia sul piano mainstream che su quello più "autoriale"?